Se non basta far piangere i ricchi (ammesso che piangano).

Dal Nuovo Corriere di Firenze del 29 dicembre 2011.

Anche i ricchi piangono, a leggere le cronache di questi giorni sulla manovra Monti, pare essere un mantra consolatorio di una parte, non proprio piccola, del PD e del centrosinistra tutto. Un riflesso pavloviano di una certa sinistra, non soltanto italiana, che fece affermare diversi anni fa al leader socialdemocratico Olof Palme che il nemico da combattere non era la ricchezza ma la povertà.
Se questo rimane vero, forse il tema da affrontare con maggiore urgenza, per la sinistra italiana, dovrebbe essere quello non solo di come garantire ordine e funzionamento delle casse pubbliche, ma come si immettono elementi di redistribuzione del reddito e di eguaglianza (declinabile sia in termini di diritti che di opportunità) sia in termini generazionali che anche, vista la situazione, immediati di ripresa economica e riavvio di una società (non solo economicamente) bloccata.
E il fatto di non essere all’opposizione, ma neanche al governo, forse dovrebbe essere vista come una possibilità, da parte dei dirigenti del PD, per farsi venire qualche idea nuova, provare a portare a sintesi le posizioni (e le relative politiche) che convivono in quel partito.
Un po’ come provano a fare i laburisti inglesi di fronte a un report pubblicato nei giorni scorsi dal think thank di Peter Mandelson, blairiano di ferro e dunque “nemico” dell’attuale segretario Milliband.  Di fronte a un documento in cui si parla apertamente di riduzione delle tasse e di appropriarsi della politica fiscale dei conservatori non si è risposto sprezzantemente che si trattava di idee di una sparuta minoranza né, d’altro canto gli estensori del rapporto, si sono limitati a chiedere le dimissioni di Ed Balls, il responsabile economico del partito. No, si sono seduti intorno ad un tavolo e ne hanno discusso, intanto a porte chiuse. Tutto il contrario della prassi nostrana dove ci si parla spesso per comunicati stampa e soprattutto si sfiora la buccia delle cose senza mai andare al merito e ci si riempie spesso la bocca di slogan o modelli esterofili di cui neanche si sa il colore della copertina.
E non è un caso che l’unico quotidiano che ha dato notizia del documento laburista e del dibattito innescato da questo sia stato (almeno allo stato della mia conoscenza) il Foglio con Claudio Cerasa, mentre i quotidiani di centrosinsitra occupavano pagine su pagine nell’ennesimo scontro tra Fassina e qualche lib dem. Argomento che probabilmente appassiona poco anche i diretti congiunti dei contendenti.
Ma siccome non voglio essere accusato di far soltanto le punte ai lapis, come direbbe Bersani, per chi fosse interessato a capire un po’ come si può pensare qualcosa di diverso trova il report di cui parlavo all’indirizzowww.policy-network.net

Se radio Londra non trasmette più

Dal Nuovo Corriere del 8 settembre 2011.

Oggi, come nel 1943, l’Italia è il ventre molle dell’Europa. Allora lo era come favorevole secondo fronte, fortemente sostenuto dai britannici, da offrire all’assediato Stalin, oggi lo è in un attacco all’Euro e alla politica economica europea. Allora inglesi e americani si trovarono a Casablanca e decisero l’invasione della Sicilia che ebbe anche come corollario non proprio felice, l’attivazione della rete della mafia italo-americana di New York per costituire teste di ponte favorevoli agli alleati nell’isola.

Oggi nessun vertice ha programmato l’invasione ma nessuno dubita che il nostro paese sia sotto attacco finanziario ed oggi come allora nessuno nutre grosse speranze che le nostre truppe possano resistere. Non certo dopo 4 manovre (ma il conto è probabilmente errato per difetto) in meno di un mese e una classe di governo incapace di articolare una frase di senso compiuto figurarsi delle misure economiche e finanziarie. Tanto che temo che il testo finale della manovra assomiglierà a quelle composizioni futuriste fatte di Zang,bam, bum, zang. Questa volta poi non c’è neanche l’”alleato” germanico che pare invece usare (con scarso successo) la retorica anti-italiana per propri fini elettorali interni.

E soprattutto manca la perfida Albione. Chi scrive si è convinto che tanti dei problemi che attraversa l’Europa oggi derivino anche dalla ancora più accentuata politica euroscettica britannica. Una politica tradizionale, attenuatasi nei primi anni del blairismo e poi ripresa dagli stessi laburisti alla fine del loro ciclo e teorizzata e ampiamente praticata dal governo conservatore-liberale di David Cameron. Non abbiamo controprova ma l’assenza britannica a controbilanciare l’asso franco-tedesco si è sentita e si sente molto. Parigi e Berlino hanno svolto una funzione propositiva e di salvaguardia quando erano governati da forze politiche, uscite dalla seconda guerra mondiale, che portavano nel proprio ricordo personale cosa avessero prodotto gli interessi nazionali. Non che questo avesse impedito una CEE prima e una UE dopo dove i governi la facessero da padroni, ma nel quadro di elementi valoriali forti e condivisi. In quel contesto la Gran Bretagna, seppur sempre fortemente euroscettica, ebbe comunque un ruolo, prima di dama da corteggiare per entrare nella comunità, poi di ponte e “garanzia” coi cugini atlantici, che seppur fossero “due popoli divisi dalla stessa lingua” come diceva Oscar Wilde, erano soliti prestare attenzione e fede a quanto Londra diceva o faceva.

Per questo spero con forza che almeno il Next LAbour di Ed Milliband riaccenda, fosse anche timidamente, un ragionamento sull’Europa nel suo appuntamento di Liverpool, ne avremmo da guadagnare, come già nel 1943, per primi noi italiani.