Tra Papi Silvio e Mamma DC

 

 

Dal Nuovo Corriere di Firenze del 13 ottobre 2011

Tempi duri quelli del segretario PdL Angelino Alfano, l’uomo che più di altri dovrebbe mettere in crisi i sociologi dell’antiberlusconismo: bruttino (sia detto con rispetto), pochi capelli, accetto marcato e tempi del parlare non certo televisivi. Insomma tutto il contrario di quello che ti aspetteresti come delfino del berlusconismo; il che dimostra, ancora una volta, che Berlusconi è molto di più di quello che ci aspettiamo da lui o della caricatura che i suoi nemici di professione ne hanno fatto in questi anni, quasi a sorta di polizza della di lui vita politica.

Ma Alfano se è figlio (politicamente s’intende) di Berlusconi ha però come mamma la buona e vecchia DC dalla cui storia e affiliazione egli proviene. E per giunta dalla DC siciliana di cui era segretario giovanile ad Agrigento. Dunque ci immaginiamo la difficoltà del delfino a barcamenarsi tra la fedeltà a Silvio, che oltre ogni pronostico lo ha nominato erede, e quel movimento di ex che tra Pdl, Pd e terzo polo punta a rimischiare il campo e definire un nuovo soggetto per il dopo Berlusconi.

Un nuovo soggetto a forte vocazione centrista a cui paiono lavorare tanti ex della prima repubblica: dai democristiani Scajola e Formigoni, ai socialisti Sacconi e Brunetta per il Pdl, il sempreverde Casini per il terzo polo e il democristiano di sinistra Fioroni sul lato PD. Spettatori interessati della partita Tremonti e Veltroni (il quale ha capito probabilmente che l’attuale assetto e la sopravvivenza del PD non prevedrebbe un suo ruolo da protagonista all’interno dello stesso) e grande vecchio dell’operazione Beppe Pisanu.

Fantapolitica probabilmente ma forse un’ipotesi di lavoro sulla quale si giocano le molte ambizioni dei tanti che si sentono pronti a raccogliere la sfida del dopo-Berlusconi.

Berlusconi ha perso, caccia al vincitore

Il testo integrale del pezzo pubblicato da il Nuovo Corriere di Firenze del 19 maggio 2011.

Bisogna ammetterlo, la migliore analisi del voto l’ha data Verdini. Il suo: “se si esclude Milano abbiamo pareggiato” ricorda la famosa battuta del pugile che tra una ripresa e l’altra chiede al suo secondo come sta andando e questi gli risponde: “se l’ammazzi fai pari”.

Più onesto La Russa che ha sostanzialmente ammesso il fallimento della strategia di spostare l’oggetto della contesa milanese dalla città al Paese e chiede oggi qual è il progetto di città di Pisapia, forse in difficoltà a porre la stessa domanda alla sua candidata che ha dimostrato talmente poco feeling col suo elettorato da risultare staccata di sei punti dall’avversario e di ben quattro punti dai partiti che la sostengono.

Tace invece per ora Berlusconi, probabilmente incredulo di non aver capito che, questa volta, stava sbagliando tattica e consiglieri come gli ha rimproverato a caldo Giuliano Ferrara probabilmente molto irritato (e i risultati gli han dato ragione) di essere stato scavalcato nei favori del premier da una come la Santacché.

Brutta aria anche dalle parti di via Bellerio dove al Carroccio si discute del fatto che non abbia pagato la strategia di smarcarsi dal Pdl e da Berlusconi e che anche la Lega paghi le difficoltà di governo, il mercimonio di parlamentari e sottosegretari e l’inazione dell’esecutivo a cui non han fatto argine gli annunci e pochi spiccioli trovati, all’ultimo da Tremonti. Tuttavia la lega, pare stare meglio del PdL e se deciderà di continuare a smarcarsi da Berlusconi a favore di Tremonti, può contare su un possibile recupero di appeal sul proprio elettorato.

Non pervenuto il terzo polo, Fini praticamente scomparso. Bisognerebbe oggi riprendere i tanti editoriali che ci avevano, nei mesi scorsi, spiegato l’importanza del polo di centro e la sua assoluta rilevanza. L’UdC da solo mediamente prendeva più voti di API, FLI e UDC messi insieme.

Tra i particolari in cronaca si segnala l’esperimento fasciocomunista, sostenuto da FLI, di Pennacchi a Latina che non arriva all’1%. Un segno che speriamo faccia considerare al vincitore dello Strega dello scorso anno di proseguire nella carriera letteraria in maniera esclusiva.

Il PD intanto gioisce e non gli mancano i motivi per farlo. Il partito di Bersani esce meglio di quasi tutti gli altri (l’idv a parte l’esploit di De Magistris è ben lungi dai risultati delle politiche, Sel non sfonda nemmeno dove esprime il candidato) ma si potrebbe dire malgrado sé stesso. Intanto se i ballottaggi di Milano, Napoli e Trieste dovessero andare tutti al centrodestra, il PD avrebbe conservato Torino e Bologna ma perso Napoli. Caso diverso se almeno uno dei tre ballottaggi vedesse prevalere il candidato del centrosinistra, come direbbe Catalano.

Oltre a questo il PD riesce difficilmente a poter trovare uno schema da questo voto: non scioglie il dilemma primarie sì, primarie no: a Milano è in testa il candidato che ha battuto il candidato ufficiale del PD alle primarie mentre a Torino vince al primo turno e bene quel Fassino “imposto” senza primarie al partito locale. A Napoli il pd non arriva nemmeno al ballottaggio e si vede costretto ad appoggiare un candidato che ha fatto tutta la campagna elettorale più contro il candidato democratico che quello del centrodestra. Dunque non scioglie nemmeno il tema delle alleanze (SEl o IdV?) visto che a MIlano deve sorreggere quello di SEL e a Napoli quello dell’IDV. Forse l’unico risultato (ma dubitiamo che andranno così le cose) sarebbe quello di porre fine alla telenovela della larga alleanza col terzo polo, che poi era (in estrema sintesi) la dottrina Bersani D’Alema.

Insomma il PD esce dal voto più forte ma senza aver risolto nessuno dei problemi che lo attanagliano: programma, alleanza, leadership autorevole (soprattutto al suo interno), tuttavia l’esperienza insegna che dopo un risultato positivo le cose si risolvono meglio.

Infine un cenno ai grillini. Che gli piaccia o meno (o che lo ammetta o meno) il comico genovese deve ammettere che il suo movimento va bene dove questo è strutturato, Bologna e Torino, ed è presente (assomiglia dunque a un partito) piuttosto che dove si affida ad uno spontaneismo giovanilista gonfiato dai sondaggi ma non dai voti come a Milano.

Milàn l’è un grand Milàn…

Da il Nuovo Corriere di Firenze del 12 maggio 2011

Che domenica e lunedì ci sia molto di più di un semplice voto amministrativo in gioco è lo stesso Berlusconi a dirlo. Milano e Napoli le piazze pregiate che daranno l’immagine della vittoria o della sconfitta.

Il ballottaggio a Milano, dato per certo da tutti qualche settimana fa si gioca oggi sul filo di lana e il merito di ciò è quasi tutto dell’iperattivismo del premier oltre ad uno uso spregiudicato e scorretto dei media. Ciononostante l’appeal di donna Letizia è piuttosto basso e il candidato Pisapia ha tutte le caratteristiche per incontrare i favori della borghesia milanese che negli anni passati non ha avuto problemi a votare a sinistra, seppur quella socialista e riformista.

E proprio per questo Berlusconi ha, ancora una volta, girato la sfida locale in un test nazionale, o meglio in un referendum su sé stesso; sfruttando le udienze dei suoi processi per moltiplicare comizi che aggirano ogni par condicio.

Tuttavia questa volta può darsi che il referendum su Silvio ci sia davvero e che i risultati riguardino molto di più il futuro del centrodestra che i destini delle opposizioni.

Bersani, Casini, per nulla dire di Fini, appaiono infatti sullo sfondo della contesa elettorale. In gioco pare esserci la conclusione dell’esperienza di governo Berlusconi e il suo futuro magari Quirinalizio.

In questo senso il comizio congiunto di Bossi e Tremonti nella rossa Bologna, significamente introdotto da Fratelli d’Italia e Va Pensiero, appare come la manifestazione non solo del noto asse tra i due ma di un OPA sul centrodestra che prevede non certo la rimozione immediata di Berlusconi ma un suo progressivo depotenziamento, un rafforzamento ulteriore del duo nelle politiche governative e soprattutto carta bianca nella discarica degli oppositori interni al PdL, Alfano e Formigoni in primis.

Altra prova del test fra Lega e Pdl è il poco impegno dimostrato dalla Lega nella campagna milanese a differenza di quanto invece si stanno spendendo i leader nazionale del Carroccio nei comuni dell’hinterland milanese, tanto che lo stesso Bossi ha definito Gallarate il test match decisivo.

Alla fine col voto milanese, e in maniera minore quello napoletano e tutti gli altri, Berlusconi deve dimostrare di essere ancora, per dirlo con l’illuminante definizione di Iacopo Tondelli de l’Inchiesta, il portavoce rumoroso della maggioranza silenziosa. Se così non sarà nuovi equilibri saranno pronti a prendere campo nei prossimi mesi e, l’asse del nord, si candiderà alla guida del Paese senza più l’esuberante (e forse ormai pesante) faccione di Silvio.

La rottamazione di Tremonti

Da il Nuovo Corriere di Firenze del 10 febbraio 2010

Non ha dato interviste sul tema. Non è apparso in tutti i talkshow e non ha riempito una vecchia stazione di Varese, ma zitto zitto Tremonti, insieme a Calderoli, pare aver impostato una rottamazione della classe politica che, se arriverà in porto, rimescolerà e di parecchio le carte della politica italiana. Parliamo del settimo decreto attuativo del cosiddetto federalismo. Le cronache poco si sono soffermate su questo testo di 18 articoli pesanti come macigni. Cosa dice in sintesi questo decreto? Che gli amministratori pubblici dovranno rispondere dei loro bilanci e che in caso di “fallimento” ne pagheranno le conseguenze non potendosi più candidare al ruolo ricoperto e, in casi di gravi violazioni, a qualsiasi carica politica italiana o europea.

Sei il governatore di una regione e la tua sanità perde a bocca di barile? Non c’è narrazione che tenga, nel progetto tremontiano il presidente del consiglio non lo puoi fare. E questo vale anche per sindaci e presidenti di provincia, ineleggibili fino a 10 anni. Ma il meccanismo non si arresta agli amministratori, incentiva anche i partiti a scegliere amministratori capaci, pena una decurtazione fino al 30% del contributo elettorale percepito.

Naturalmente siamo ancora alla prima proposta del governo, maggioranza e opposizione non mancheranno di provare a modificare profondamente il testo approvato dal consiglio dei ministri nel novembre scorso, mentre l’Anci ha già dichiarato il suo no definendo il testo incostituzionale.

Tuttavia quella tremontiana appare una rivoluzione non c’è che dire e come tutte le rivoluzioni troverà sulla strada nemici in tutti gli schieramenti e forse, oggi, è una delle poste maggiori sul piatto della possibile fine anticipata della legislatura.