Dove eravamo rimasti?

eravamo

Riprendo a scrivere sul blog dopo un po’ di tempo. Un po’ di tempo in cui ho resettato le  mie priorità e ho messo via un bel po’ di cose.

Scherzando dico che sono tornato nella società civile. Ho chiuso con la politica attiva. Alcuni mi dicono per ora. Io posso rispondere che è un per ora piuttosto lungo.

Esco da 18 anni di militanza molto intensi. Ho ricoperto molti incarichi e per larghi tratti la politica è stata la mia unica occupazione. Sono stato un funzionario di partito o ho svolto lavori che mi consentivano comunque di poter far politica quasi a tempo pieno.

Ho sacrificato tanto alla politica ma tanto ho avuto in cambio. Oggi però ho detto basta. L’ho detto non solo per un risultato negativo inaspettato ma perchè ho capito che si era rotto qualcosa. Come in una lunga storia d’amore si andava avanti per consuetudine, ma la passione era persa da un po’.

Si è persa a partire dalla nascita del PD. Non tanto per colpa dell’idea del PD ma per la prassi che esso ha instaurato almeno qui a Firenze e la rottura delle gabbie che tale evento ha creato. E’ come se lo spezzare le catene delle appartenenze avesse anche tolto dei freni inibitori e rotto molti degli elementi di solidarietà che i vecchi partiti avevano.

Se c’è una cosa che mi ha colpito è il silenzio.

Dei vecchi dirigenti dei DS che con me hanno condiviso anni e anni di militanza e coi quali mi lega affetto e consuetudini solo pochissimi sono quelli che mi hanno cercato, anche solo per chiedermi come va. E in maggior parte sono quelli che hanno scelto come me alcuni candidati.

Gli altri, quelli che avevano fatto altre scelte, sono semplicemente scomparsi, mi viene da pensare maggiormente coinvolti nelle vicende della corrente che nel portare umana comprensione a chi con loro tante volte era stato. Non nego che molto mi hanno ferito alcune cose lette sui giornali il giorno dei risultati o alcune mail ricevute subito prima. Quasi un’accusa di tradimento (vecchio retaggio di un passato che fu) perché non ero più dalemiano.

Ma il silenzio è anche quello del Partito inteso come gruppi e organismi dirigenti. E’ un silenzio lungo da tanto tempo e non solo recente.  E’ una sensazione di distacco, di non appartenenza. Di freddo. Del non sentirsi a casa in un luogo in cui mica ti ci ha obbligato il dottore a stare. E’ un gelo fatto di riunioni i cui si cavilla sulle regole. In cui ci si presenta come avvocati renziani piuttosto che pistelliani. Un partito che si riunisce all’inverosimile per discutere di regole e poi scompare per discutere di politica.

Alle mie dimissioni dall’esecutivo cittadino non ho ricevuto risposta. Solo un sms in cui mi si diceva che ci sarebbe stato un incontro.

Lo stile talvolta è la rappresentazione di una sostanza. O della mancanza di quest’ultima.

E’ un disagio, il mio, nei silenzi o nella distanza anche di chi, inteso come gruppo,  compagno di viaggio lo è più di recente, un viaggio in cui ho scommesso tutto e tutto ho perso anch’io. Non credo che il sentirsi parte, la condivisione  sia una bene da esigere  soprattutto in così breve tempo, ma nemmeno da escludere, anche perché la sconfitta è  stata talmente totalizzante da cambiar persino casa.

Credo che questi disagi non siano solo miei e che il PD debba affrontare un tema se pensa di sopravvivere. Come metabolizzare un modello competitivo (le primarie) senza lasciare  morti e feriti. Non serve tornare al passato in cui ci si sistemava cencellianamente tutti chi in un ente, chi in una cooperativa.

Penso che la politica italiana debba riflettere sul “dopo” dei propri dirigenti, perché non esiste alcuna democrazia in cui i cambi di classe dirigente arrivano solo per morte naturale, per arresto o per cataclismi e arrivano talmente tardi che arrivano completamente consumati intellettualmente, per cui il nuovo appare già vecchio.

Io continuo a credere che il PD sia ormai l’unico spazio politico per cui valga la pena animarsi.  Resto iscritto a questo partito. Voterò da militante al congresso e proverò a dare un contributo facendo quello che ho fatto sempre e per il quale ho sempre pagato pegno: pensare e agire aldilà delle convenienze personali.

“Anch’io da socialista mi voglio vestire…”

Una delle mie più forti perplessità sul PD era (e in parte è ancora) la sua collocazione internazionale e l’appartenenza al Socialismo Europeo. Per me, per chi viene dalla mia tradizione, non è un particolare irrilevante. Questo naturalmente c’entra poco con le primarie fiorentine ma quando è arrivata la lettera di cui trovate la traduzione qui sotto e il pdf in allegato mi sono sentito meglio…

Caro Lapo, amico mio,

sono felice di sapere che sei in corsa per la scelta del candidato del Partito Democratico per il Sindaco di Firenze. Sono sicuro che saresti un sindaco eccezionale.

Penso che la tua esperienza e credibilità internazionale siano risorse determinanti per fare di Firenze una città leader a livello europeo. Sono d’accordo con te: l’amministrazione locale deve giocare un ruolo forte in questi tempi di cambiamenti globali senza precedenti. In un contesto di triplice crisi – finanziaria, economica e ambientale – abbiamo bisogno di leader politici come te, con esperienza internazionale e profondamente impegnati per gli ideali di progresso e giustizia sociale, per migliorare la vita dei cittadini dove è necessario.

Quando abbiamo lavorato insieme al Parlamento Europeo ho visto quanto sei impegnato nel mettere in atto politiche innovative e progressiste. Firenze può beneficiare enormemente della tua visione, della tua competenza e del tuo impegno.

Il 2009 sarà un anno difficile per i cittadini in Europa e nel mondo. Ci attendono dure sfide. Sono fiducioso: tu, Lapo, hai sia la visione che la determinazione per guidare la tua città natale, Firenze, nella giusta direzione e al sicuro fuori da questi tempi difficili.

Desidero farti i miei migliori auguri per la tua campagna, che sostengo pienamente.

Un saluto fraterno,

Poul Nyrup Rasmussen

Presidente del PSE, Primo Ministro della Danimrca dal 1992 al 2001.

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