Il compagno Morrocchi si interroga…

Mi interrogo da un paio di giorni su questa possibile candidatura di Michele Ventura a quinto candidato alle primarie del centrosinistra fiorentino.

Conosco Michele da una vita (la mia), ne ho sempre apprezzato la lucidità e la capacità politica. L’arguzia e la capacità di ragionamento e di semplificazione di temi anche complessi.

Ammetto che ultimamente le nostre scelte sono state divergenti proprio in rapporto alle primarie e che dunque una frequentazione, una volta assidua, si è interrotta.

E dunque mi rimangono una serie di domande che non avranno probabilmente risposta ma che giro a tutti.

Se c’è bisogno di semplificare il quadro e di portare a sintesi il quadro del PD fiorentino e il numero dei candidati ha senso, una volta che Daniela Lastri ha annunciato ovviamente di continuare la sua corsa, aumentarne il numero?

Se anche Daniela si fosse ritirata saremmo davvero stati di fronte ad una semplificazione? (in numero no visto che quattro sarebbero comunque rimasti)

Se non di una semplificazione per numero almeno una semplificazione per provenienze sarebbe stata utile? Io penso di no. Penso che l’idea di un richiamo ad una identità diessina sia sbagliato, fuori tempo massimo e che cada sostanzialmente nel vuoto.

Sbagliato perchè contrario all’idea del PD, alla mozione che insieme a Michele ho sostenuto all’ultimo congresso dei DS; fuori tempo perchè la legittima difesa dell’esperienza dei DS si è consumata appunto nell’ultimo congresso e ha portato anche ad una scissione; cade nel vuoto perchè non vedo nel pd fiorentino e nei suoi dirigenti, anche nella maggioranza di quelli provenienti dai ds, una così forte voglia di tornare indietro e di ribadire un’identità che abbiamo coscientemente e convintamente chiuso per costruirne una nuova.

Infine l’ultima domanda ma per me la decisiva. Stiamo scelgiendo il sindaco o il segretario metropolitano del PD? Perchè se scegliamo il segretario del PD, Michele Ventura, e le motivazioni che lo spingono sono anche le mie. Rafforzare il partito, portarlo a sintesi e unità, ridargli azione politica sono bisogni che tutti gli iscritti penso avvertano a Firenze come nel resto d’Italia. Il punto però è che qui si tratta di scegliere il sindaco, cioè qualcuno che è in grado di interpretare un idea di città e un programma di governo. Di unire una città e non solo un partito.

E alla fine si alzò il sipario…

Ieri Matteo Renzi ha iniziato la propria campagna per le primarie. Lo fa con un taglio molto poco di partito e con un orientamento molto orientato all’elettorato extra-pd. Cosa peraltro che lui rivendica con sincerità.

Si può discutere se siano le primarie piuttosto che le elezioni amministrative il luogo in cui conquistare i voti alla destra.

Ogni manuale di scienza politica dice chiaramente di no. Che alle primarie devono votare gli elettori dello schieramento e che l’allargamento degli elettori agli altri schieramenti viene considerato macchinazione.

Ma i manuali sono molto diversi dalla realtà. Dunque pur pensandola come i manuali ritengo l’argomento degno di discussione.

Tuttavia la cosa diventa un po’ più grave, almeno dal mio punto di vista, quando oltre che tentare di “rubare” elettori alla destra si rubano gli slogan e i riferimenti culturali.

A me Prima Firenze sa un po’ troppo Country first di Mc Cain e soprattutto penso che il monologo di Al Pacino in Ogni maledetta domenica (Any given Sunday), faccia un po’ troppo motivatore di publitalia ’80.

Ora non chiedo la proiezione della corazzata Potemkin o Ivan il terribile o la Congiura dei Boiardi in versione originale coi sottotitoli in nord coreano ma insomma si possono trovare riferimenti un po’ più di centro sinistra oltre a qualche citazione di Gramsci fuori contesto?

Se vogliam fare gli americani.

Un mio vecchio amico usava spesso l’espressione “fare i tedeschi con la mentalità dei sudamericani”.

Mi è tornata in mente pensando alle primarie per il Sindaco di Firenze che come Pd ci apprestiamo a fare. Spero di sbagliarmi ma vedo una voglia matta di ripetere nella forma quello che avviene aldilà dell’oceano senza però introiettarne i contenuti, il rispetto e le modalità (se volete i riti) politici di quel modello.

Vedo slogan copiati (al candidato sbagliato però), convention, staff elettorali, gadget, immagino che arriveremo anche ai cartoncini coi nomi e qualche emittente televisiva organizzerà senz’altro un bel faccia a faccia.

Sia chiaro a me tutto questo piace. Tentavo, quando facevo quel mestiere, di organizzare campagne all’americana già nel 2001, figurarsi se non ci sguazzo in tutto questo.

Penso però che servirebbe anche imparare le regole del confronto, il senso delle riunioni che precedono gli interventi alle convention dei partiti, tutta l’arte della politica che permette ai candidati di lavorare per colui che vince, stringendo accordi assegnando incarichi (sì la politica è anche questo).

In sintesi ridando centralità alla politica aldilà dei metodi. E’ forse l’ora di credere nelle scelte che abbiamo compiuto. Non è più il tempo di gattopardismi in cui si cambia il metodo per mantenere la sostanza dei nostri rituali. Abbiamo scelto un metodo competitivo, dobbiamo attrezzarci a questo; regolare e riportare la competizione nell’alveo del confronto civile e serio. Servono contenuti oltre alle regole, non servono a mio avviso i proclami all’unità, vuote richieste di riduzione dei candidati.

Serve governare la complessità, trarne vantaggio e non averne paura. Servono dei dirigenti che sappiano far questo e che abbiano l’umiltà e la sapienza di non cercare la ribalta.

Ho scritto primarie sulla sabbia

Si sa la pubblicità è l’anima del commercio e che sia agosto oppure settembre la foliazione dei nostri quotidiani la decidono gli inserzionisti piuttosto che i direttori e le notizie che realmente sono apparse.

Ecco dunque il moltiplicarsi di inchieste sul coctail dell’estate, l’abbronzatura migliore, i ristoranti meno esosi e via celiando…

Se le cronache nazionali sono state in qualche modo aiutate da olimpiadi e questione georgiana non altrettanto è accaduto ai quotidiani locali e ai supplementi locali dei grandi quotidiani.E siccome tocca lavorare qualcosa bisogna pur scrivere, anche di politica naturalmente soprattutto se la penna più appuntita della città le ferie le ha prese a luglio.

Ecco quindi che il politico rimasto in città (o magari in montagna ma col telefonino acceso) pronto a dichiarare su qualsivoglia argomento si ritrova ad essere non uno degli esponti cittadini ma il vate!

E quindi viene intervistato su tutto. Vacanze, amorazzi estivi, regolamenti comunali, primarie (singole o di coalizione), collocazioni nel proprio partito, questione georgiana. Lo immagiamo impegnato a conversare col giornalista puntuto a metà del giorno dal buon retiro montano, come Berlusconi tornato dalla serra dei cactus in Sardegna che chiama Putin e discutono della Georgia. Più o meno anche con gli stessi risultati.

Oppure indaffarato a rispondere al segretario nazionale di un partito alleato galvanizzato addirittura dal richiamo nazionale che la notizia potrebbe avere. Poi poco importa se quel livello di discussione non attenga al suo ruolo ma un parere, perdincibacco, non si nega a nessuno!

Poi tanto torna settembre e i telefonini li riaccendo anche gli altri e il vate torna a fare il suo. Che, tra l’altro, nemmeno gli riuscirebbe male. E tutti i proclami, democrazia, tutela degli iscritti, minacce di dimissioni, richiamo alla base o al popolo delle primarie si perdono come scritte sulla sabbia che il mare porta via…