La fatica di tradurre Tolkien

Se nel proprio nome (o cognome in questo caso) risiede una parte del proprio destino, Ottavio Fatica intraprendendo la traduzione del Signore degli Anelli ha molto probabilmente compiuto il suo.

Già perché le vicende editoriali di questi tre volumi, in Italia, non sono mai state facili e anche questa volta si confermano tali. Credo c’entri anche un’appropriazione politica del testo tolkeniano da parte dell’estrema destra e del neofascismo dagli anni ’70 del tutto incomprensibile all’estero e a chi ha davvero letto (e mi si permetta capito) la saga dei Baggins.

Ma le critiche al lavoro di Fatica non sono arrivate solo dai nostalgici, c’è infatti una moltitudine di ex adolescenti (come chi scrive) che sono cresciuti forgiati da quel libro che circolava con la sua copertina agreste dai contorni beige e apriva mondi che poi spesso portavano a pomeriggi di giochi di ruolo.

Ma facciamo un po’ di ordine e proviamo a ricapitolare in estrema sintesi le vicende del libro nel nostro paese. La prima traduzione del volume è quella, in realtà mai arrivata alle stampe, che la piccola casa editrice l’Astrolabio commissiona ad una allora giovanissima Vittoria Alliata di Villafranca. La Alliata che non era (e non sarà) una traduttrice fa, va detto, un lavoro enorme e per i suoi mezzi egregio, tuttavia fu poi affiancata da Quirino Principe che ne corregge molta parte per l’edizione Rusconi che uscì nel 1970.

Quella traduzione è quella sulla quale generazioni di lettori sono cresciuti e si sono affezionati. Tuttavia nel 2003 Bompiani proporrà, alla ripubblicazione dei volumi sull’onda del successo dei film tratti dagli stessi, quella traduzione, però corretta su indicazione della Società Tolkeniana Italiana.

Sì perché nel frattempo il Signore degli Anelli e più in generale l’opera di Tolkien stava uscendo dalle fogne del neofascismo e dall’underground di cosplay e nerd ed entrava di diritto nei canoni letterari e nelle aule universitarie. Da qui, all’approssimarsi della scadenza dei diritti della traduzione dell’Alliata, la pressione sull’editore per una nuova traduzione.

Non senza strascichi legali, cause e velenosi articoli usciti sui giornali della destra italiana si arriva dunque all’opera di Ottavio Fatica, traduttore di grande esperienza con un gran lavoro su prosa e poesia inglese. Ma in cosa si caratterizza questo lavoro? La più evidente differenza (e quella su cui si sono concentrate le maggiori polemiche) è la traduzione diversa di molti dei nomi iconici della saga. I Raminghi che diventano Forestali, il Puledro impennato Cavallino Inalberato, Gran Burrone Valforra e molti altri. Un lavoro che il traduttore ha sempre giustificato per una maggiore aderenza alle sfaccettature e alle etimologie dell’autore. Non va infatti dimenticato che Tolkien di mestiere faceva il filologo a Oxford e tutte le sue opere sono caratterizzate per scelte linguistiche precise e mai casuali. Anche la poesia degli anelli che più o meno tutti i fan conoscevano a memoria viene riportata ad una maggiore coerenza con l’originale ma non è facile mandarla a memoria nella nuova versione.

E tuttavia a Fatica e all’editore è mancato il coraggio di utilizzare tale metro per tutti i nomi della saga (da un certo punto di vista fortunatamente) e dunque Baggins non è reso con Sacconi. Una scelta certo comprensibile che però avrebbe potuto essere adoperata per altri personaggi ed evitare che ogni volta che ci si riferisca ad Aragon come forestale non venga in mente uno in uniforme grigia intento a controllare che scoppi un incendio nel bosco.

Ma le due, a mio avviso, più importanti novità della traduzione di Fatica sono l’uso di registri diversi da parte dei personaggi e una fluidità e musicalità del testo. Il primo punto fa sì, per esempio, che le modeste origini di alcuni personaggi, Sam su tutti, si riflettano nel loro parlato. Questo fa sì che l’opera acquisti le sfaccettature che l’autore volle dargli: non una semplice saga epica fatta di eroi ma un’allegoria di una quotidianità che si trasforma in epica. Gli Hobbit non sono eroi scelti dagli dei, ma (mezzi)uomini travolti dal fato che compiono imprese eroiche. Una stratificazione di classe che era ben presente in Tolkien e che lo allontana dalla mistica del superuomo (che aveva trovato spazio quasi solo qui in Italia infatti).

Articolo uscito su Cultura Commestibile, n. 460 del 17 settembre 2022.

La fase due degli altri – il caso francese

French Prime Minister Edouard Philippe presents his plan to exit from the lockdown at the National Assembly in Paris, Tuesday, April 28, 2020. French Prime Minister Edouard Philippe has outlined a stringent plan to fight coronavirus in France by automatically testing everyone who\'s come in contact with someone infected with COVID-19. (David Niviere, Pool via AP)
(David Niviere, Pool via AP)

Propongo qui la mia trauzione integrale dell’intervento svolto dal Presidente del Consiglio dei Ministri francese Edouard Philippe di fronte all’Assemblea nazionale il 28 maggio 2020. Il testo in francese e il video dell’intervento li trovate qui.

Signor Presidente,

signore e signori deputati,

Eccoci dunque al momento in cui dobbiamo dire alla Francia come la nostra vita riprende.

Dopo lo scorso 17 marzo, il nostro Paese vive confinato.

Chi avrebbe immaginato, soltanto tre mesi fa, il posto che queste parole avrebbero avuto nel nostro dibattito pubblico? Chi avrebbe potuto immaginare una Francia nella quale, improvvisamente, le scuole, le università, i caffè, i ristoranti, la maggioranza delle imprese, le biblioteche e le librerie, le chiese, i templi, le sinagoghe e le moschee, i giardini pubblici e le spiagge, i teatri, gli stadi, tutti quei luoghi comuni, per usare una formula alla quale è affezionato il Presidente dell’Assemblea Nazionale, sarebbero stati chiusi?

Mai nella storia del nostro paese, abbiamo conosciuto una tale situazione. Né durante le guerre, né durante l’occupazione, né durante precedenti epidemie. Mai il paese è stato confinato come lo è oggi.

Ed è del tutto evidente, che non potrà esserlo per sempre.

Poiché se è vero che il confinamento ha costituito una tappa necessaria, potrebbe, se durasse troppo a lungo, determinare degli effetti deleteri.

È stato uno strumento efficace, per lottare contro il virus. Per contenere la progressione dell’epidemia. Per evitare la saturazione delle nostre capacità ospedaliere e, in questo modo, proteggere i francesi più fragili.

Dopo il 14 aprile, il numero dei casi di COVID-19 ospedalizzati diminuisce: da più di 32.000 pazienti ospedalizzati, è disceso a 28.000. Dopo l’8 aprile, il numero di casi di COVID-19 in rianimazione diminuisce. Sorpassavano i 7.100, è ormai di 4.600.

La discesa è iniziata ed è regolare. Lenta, lo vedremo, ma regolare.

Secondo uno studio dell’Ecole des hautes études de santé publique, il confinamento ha permesso di evitare almeno 62.000 decessi il mese. E 105.000 letti in rianimazione sarebbero mancati in assenza di confinamento. Io non credo, signore e signori deputati, che il nostro Paese l’avrebbe sopportato.

Ma uno strumento è valido solo se i suoi effetti positivi non sono, nel tempo, superati dalle sue conseguenze negative.

Ora noi sappiamo, per intuito o per esperienza, che un confinamento prolungato aldilà dello stretto necessario avrebbe, per la Nazione, delle conseguenze gravissime.

Noi sentiamo che l’arresto prolungato della produzione di parti intere della nostra economia, che il turbamento duraturo della scolarizzazione per un gran numero di bambini e adolescenti, che l’interruzione degli investimenti pubblici o privati, che la chiusura prolungata delle frontiere, che l’estrema limitazione della libertà di circolare, di riunirsi, di fare visita agli anziani genitori o ai propri cari, presenterebbero per il paese non solo l’inconveniente penoso del confinamento ma in verità quello, molto più terribile, del collasso. Non uso questo termine a caso. Mi si accusa più spesso di abusare della litote che dell’esagerazione.

Dobbiamo dunque, progressivamente, prudentemente, ma anche risolutamente, procedere a un de-confinamento sia atteso che rischioso.

L’obiettivo del governo è di presentare all’Assemblea Nazionale, e grazie a questa, ai francesi, la nostra strategia nazionale, cioè, gli obiettivi che ci siamo posti e le modalità con le quali andremo a procedere per ottenerli a partire dal prossimo 11 maggio.

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