Immigrati e fattore M

Da il Nuovo Corriere di Firenze del 2 luglio 2010

La triste spedizione azzurra ai mondiali in Sudafrica ha riaperto da noi una annosa discussione sulla povertà del nostro movimento calcistico, l’impoverimento dei vivai e la necessità di dare una scossa ai nostri pallonatori.

Uno dei temi sollevati è il paragone con la brillante Germania della cosiddetta generazione M (per multiculturale) in cui ben 11 dei 23 convocati non sono tedeschi per discendenza familiare ma per diritto acquisito e naturalizzazione.

Analoga riflessione si fece, lodandone le qualità calcistiche e sociali, per la Francia vittoriosa ai mondiali casalinghi del 1998.

Senza voler entrare qui nei meriti calcistici della vicenda ci interessa soffermarci sul nesso che può esistere tra questi successi calcistici e le riforme del diritto di cittadinanza che questi due paesi, a partire dagli anni ’90 hanno compiuto. Non pensiamo infatti che i lungimiranti cancellieri tedeschi e presidenti francesi avessero in mente le vittorie sportive quando modificarono le loro leggi per l’acquisizione della cittadinanza. Quello che avevano di fronte erano due paesi con un profondo calo delle nascite autoctone e una crescente immigrazione arrivata peraltro alla seconda e forse terza generazione.

Fu proprio negli anni 90 che Germania e Francia superarono il cosiddetto jus sanguinis (sei cittadino di uno Stato se sei figlio di cittadini di quello Stato) verso lo jus soli (divieni cittadino di uno Stato se nasci e risiedi in quello Stato). Ad oggi si diventa cittadini tedeschi o francesi se si è figli di genitori francesi o al compimento del diciottesimo anno di età anche se si è figli di genitori immigrati. Per i tedeschi è necessario che i genitori risiedano regolarmente in Germania da almeno 8 anni e alla maggiore età i ragazzi possono scegliere quale nazionalità adottare.

E in Italia? Niente di tutto questo è avvenuto, nonostante due leggi (Turco Napolitano prima e Bossi Fini poi) abbiano negli stessi anni trattato il problema immigrazione, e si sia oggi (ma già da qualche tempo) in presenza dei fenomeni che c’erano nei due paesi europei venti anni fa, seppure, ricordiamolo sempre, la percentuale degli immigrati regolari resti più bassa della media europea.

Certo ciclicamente si torna a parlare di jus soli in Italia, dapprima fu Amato, allora Ministro dell’Interno, poi ultimamente Fini; ma alle parole ha sempre prevalso l’impostazione ideologica dell’immigrazione vista come fenomeno riguardante o la sfera economica o quella delle sicurezza.

Nulla peraltro nemmeno su un altro fronte, quello della cosiddetta cittadinanza per merito, un modello che per breve fu studiato dal governo Prodi e di cui ha scritto molto il sociologo Pippo Russo. Un modello che vede il superamento dei due criteri sopra descritti a favore di una cittadinanza che si ottiene “sul campo” per meriti professionali e lavorativi anche per categorie cosiddette intermedie.

Nel frattempo si è andati avanti per i lunghi procedimenti della naturalizzazione che si contrae attraverso il matrimonio, per meriti eccellenti o nel caso di oriundi e che la FIGC pare oggi riproporre per rimpolpare la prossima nazionale di Prandelli con una miopia sui destini del calcio italiano che è uguale a quella della politica nei confronti del Paese.

Risultati di questo far niente? Un Paese più povero socialmente, economicamente e, probabilmente, anche calcisticamente.