Lo spazio a sinistra

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Molto probabilmente avrei potuto esimermi dall’analisi del voto del primo turno delle amministrative, ma visto che gli amici de l’argine sono così carini da ospitarmi ho provato a trovare un punto di vista diverso. Se vi va lo trovate qui

Domani poi alle primarie che fai?

Come è probabilmente noto, non credo più nel progetto del PD da un po’ di anni. Non è questo il luogo e il momento per spiegare i tanti perché, ammesso che a qualcuno interessino ancora.

Tuttavia considero il centrosinistra il mio campo, la mia dimensione politica. Magari un centrosinistra più socialista e liberale ma tant’è. Fatto sta che quello che accade in questo campo mi interessa e in parte mi appartiene, come le primarie di domani.

Dicessi che domani si confrontano politici che mi rappresentano a pieno mentirei sapendo di mentire. Vedo rigurgiti di togliattismo e una chiusura verso la lettura storica, per esempio, del New Labour solo in funzione di contrasto all’avversario del momento che ricorda il marito che si taglia gli attributi per far dispetto alla moglie.

Oppure vedo un modo di far politica che è fatto di semplificazione, mezze verità, bisogno sempre di fare la frase ad effetto e nessuna attenzione alla consequenzialità di quello che si dice con quello che realmente si potrà fare o che importerà davvero fare. Una eterna rincorsa al più uno che ha l’impressione del movimento perenne e che invece, per me, è un eterno tapis roulant in cui si dura un sacco di fatica per rimanere fermi e in cui poi comandano sempre in meno e sempre i soliti.

Sarà come dice Marco Pannella che spesso si è costretti a scegliere tra “buoni a nulla contro capaci di tutto” ed io, istintivamente, provo simpatia per i primi piuttosto che per il secondo. Sarà perché sono un vecchio arnese della politica (il copyright nei miei confronti è di Graziano Cioni) e ho letto troppe volte il gattopardo soffermandomi su quella frase che dice il Principe di Salina: “noi fummo i gattopardi, i leoni. Chi verrà dopo di noi saranno le iene e gli sciacalletti; ma tutti, iene, leoni, gattopardi e sciacalletti si sentiranno il sale della terra”.

Insomma sarà per tutto questo e per qualcosa ancora che domani con tanti dubbi il mio voto andrà a Pierluigi Bersani.

 Poi da lunedì di nuovo a far le bucce a tutto e tutti. Ostinatamente libero.

 

 

Dove eravamo rimasti?

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Riprendo a scrivere sul blog dopo un po’ di tempo. Un po’ di tempo in cui ho resettato le  mie priorità e ho messo via un bel po’ di cose.

Scherzando dico che sono tornato nella società civile. Ho chiuso con la politica attiva. Alcuni mi dicono per ora. Io posso rispondere che è un per ora piuttosto lungo.

Esco da 18 anni di militanza molto intensi. Ho ricoperto molti incarichi e per larghi tratti la politica è stata la mia unica occupazione. Sono stato un funzionario di partito o ho svolto lavori che mi consentivano comunque di poter far politica quasi a tempo pieno.

Ho sacrificato tanto alla politica ma tanto ho avuto in cambio. Oggi però ho detto basta. L’ho detto non solo per un risultato negativo inaspettato ma perchè ho capito che si era rotto qualcosa. Come in una lunga storia d’amore si andava avanti per consuetudine, ma la passione era persa da un po’.

Si è persa a partire dalla nascita del PD. Non tanto per colpa dell’idea del PD ma per la prassi che esso ha instaurato almeno qui a Firenze e la rottura delle gabbie che tale evento ha creato. E’ come se lo spezzare le catene delle appartenenze avesse anche tolto dei freni inibitori e rotto molti degli elementi di solidarietà che i vecchi partiti avevano.

Se c’è una cosa che mi ha colpito è il silenzio.

Dei vecchi dirigenti dei DS che con me hanno condiviso anni e anni di militanza e coi quali mi lega affetto e consuetudini solo pochissimi sono quelli che mi hanno cercato, anche solo per chiedermi come va. E in maggior parte sono quelli che hanno scelto come me alcuni candidati.

Gli altri, quelli che avevano fatto altre scelte, sono semplicemente scomparsi, mi viene da pensare maggiormente coinvolti nelle vicende della corrente che nel portare umana comprensione a chi con loro tante volte era stato. Non nego che molto mi hanno ferito alcune cose lette sui giornali il giorno dei risultati o alcune mail ricevute subito prima. Quasi un’accusa di tradimento (vecchio retaggio di un passato che fu) perché non ero più dalemiano.

Ma il silenzio è anche quello del Partito inteso come gruppi e organismi dirigenti. E’ un silenzio lungo da tanto tempo e non solo recente.  E’ una sensazione di distacco, di non appartenenza. Di freddo. Del non sentirsi a casa in un luogo in cui mica ti ci ha obbligato il dottore a stare. E’ un gelo fatto di riunioni i cui si cavilla sulle regole. In cui ci si presenta come avvocati renziani piuttosto che pistelliani. Un partito che si riunisce all’inverosimile per discutere di regole e poi scompare per discutere di politica.

Alle mie dimissioni dall’esecutivo cittadino non ho ricevuto risposta. Solo un sms in cui mi si diceva che ci sarebbe stato un incontro.

Lo stile talvolta è la rappresentazione di una sostanza. O della mancanza di quest’ultima.

E’ un disagio, il mio, nei silenzi o nella distanza anche di chi, inteso come gruppo,  compagno di viaggio lo è più di recente, un viaggio in cui ho scommesso tutto e tutto ho perso anch’io. Non credo che il sentirsi parte, la condivisione  sia una bene da esigere  soprattutto in così breve tempo, ma nemmeno da escludere, anche perché la sconfitta è  stata talmente totalizzante da cambiar persino casa.

Credo che questi disagi non siano solo miei e che il PD debba affrontare un tema se pensa di sopravvivere. Come metabolizzare un modello competitivo (le primarie) senza lasciare  morti e feriti. Non serve tornare al passato in cui ci si sistemava cencellianamente tutti chi in un ente, chi in una cooperativa.

Penso che la politica italiana debba riflettere sul “dopo” dei propri dirigenti, perché non esiste alcuna democrazia in cui i cambi di classe dirigente arrivano solo per morte naturale, per arresto o per cataclismi e arrivano talmente tardi che arrivano completamente consumati intellettualmente, per cui il nuovo appare già vecchio.

Io continuo a credere che il PD sia ormai l’unico spazio politico per cui valga la pena animarsi.  Resto iscritto a questo partito. Voterò da militante al congresso e proverò a dare un contributo facendo quello che ho fatto sempre e per il quale ho sempre pagato pegno: pensare e agire aldilà delle convenienze personali.

E alla fine si alzò il sipario…

Ieri Matteo Renzi ha iniziato la propria campagna per le primarie. Lo fa con un taglio molto poco di partito e con un orientamento molto orientato all’elettorato extra-pd. Cosa peraltro che lui rivendica con sincerità.

Si può discutere se siano le primarie piuttosto che le elezioni amministrative il luogo in cui conquistare i voti alla destra.

Ogni manuale di scienza politica dice chiaramente di no. Che alle primarie devono votare gli elettori dello schieramento e che l’allargamento degli elettori agli altri schieramenti viene considerato macchinazione.

Ma i manuali sono molto diversi dalla realtà. Dunque pur pensandola come i manuali ritengo l’argomento degno di discussione.

Tuttavia la cosa diventa un po’ più grave, almeno dal mio punto di vista, quando oltre che tentare di “rubare” elettori alla destra si rubano gli slogan e i riferimenti culturali.

A me Prima Firenze sa un po’ troppo Country first di Mc Cain e soprattutto penso che il monologo di Al Pacino in Ogni maledetta domenica (Any given Sunday), faccia un po’ troppo motivatore di publitalia ’80.

Ora non chiedo la proiezione della corazzata Potemkin o Ivan il terribile o la Congiura dei Boiardi in versione originale coi sottotitoli in nord coreano ma insomma si possono trovare riferimenti un po’ più di centro sinistra oltre a qualche citazione di Gramsci fuori contesto?