La narrazione politica e l’italiano

Dal Nuovo Corriere di Firenze del 2 giugno 2011.

Le parole, ripeteva ossessivo Nanni Moretti in Palombella Rossa, sono importanti. Lo sarebbero ancora di più se il tema politico viene spostato dall’azione alla narrazione, come accade in questi tempi.

Uno spostamento che se da un lato riesce a mobilitare la fantasia e la passione della gente spesso consente anche di creare una cortina fumogena sull’operato di governo dei nostri amministratori che dovremmo aver eletto per fare le cose e non per appassionarci la sera davanti a un fuoco.

Ma se i tempi richiedono narrazioni, soffermiamoci su queste e cerchiamo di fissare alcune basilari regole a questa modalità dell’agire politico. Intanto sia richiesto ai narratori di esprimersi in italiano corretto., di non indulgere nel dialetto, nelle parole straniere (e nel caso le si voglia usare almeno le si pronuncino correttamente) o nei paroloni soprattutto se messi a caso. Infine di non stravolgere il senso delle parole che si usano.

Capiamo che così facendo molta parte degli attuali narratori politici sarebbe di fatto esclusa dal certamen linguistico elettorale a meno di non ricominciare la propria carriera scolastica spesso dalle elementari.

Anche il campione della narrazione Nichi Vendola non sopravviverebbe a tale paletti. Come dimenticare il suo discorso al congresso di Firenze infarcito di termini come “ultroneo”, “superfetazione”, messi qui e là nel discorso forse come omaggio, visto il luogo, al conte Mascetti di monicelliana memoria.

Oppure il comiziaccio alla Eltsin di lunedì pomerigigo in piazza del Duomo in cui narrava di una Milano espugnata, facendo probabilmente rivoltare nelle tombe quelli che per liberarla davvero ci han rimesso le penne. Oppure le dichiarazioni sempre del dopo vittoria di Pisapia in cui ha parlato di un atto di disobbedienza civile nel voto dei milanesi e dei napoletani. Peccato però che di scioperi della fame ne sia in corso solo uno, quello di Marco Pannella (verboso narratore ma di altra razza e qualità) e di molti detenuti nelle carceri, non si siano viste autodenunce per non pagare l’ecopass, marce nonviolente, sit-in a bloccare i tram e tutte quelle modalità che definiscono la disubbidenza civile e che sono costate, negli anni e nel mondo, anche la vita a molti manifestanti.

Il bravo Pisapia se ne è infatti subito smarcato ribadendo un’ulteriore e fondamentale legge del narratore politico: prima di parlare, ascoltare.

Alla fine della rieducazione linguistica non so se avremo politici migliori ma almeno avremo narratori più interessanti ed educati.