Il tatticismo di D’Alema e la debolezza del referendum.

Dal Nuovo Corriere di Firenze del 15 settembre 2011.

A differenza di molti amministratori e dirigenti locali del PD, Bersani e il suo gruppo dirigente sono apparsi e appaiono tiepidi rispetto alla raccolta firme per il referendum contro il porcellum.  Considerazioni di ordine pratico e di convenienza politica innanzitutto ma anche una certa difficoltà nel governare l’ennesimo esito imprevedibile. La cosa si potrebbe risolvere come spiega il solito D’Alema con la l’ennesima visione tattica del “grimaldello” per smuovere la maggioranza ad approvare una nuova legge elettorale, dimenticandosi che ogni volta che si è mosso così (cioè praticamente sempre) l’esito è stato molto diverso dalle aspettative e quasi mai favorevole alla sua parte: bicamerale e caduta del primo governo Prodi per tutte.

Se invece, come pare fare il più prudente Bersani, ci si ferma un attimo a ragionare sulla lettera del referendum si capisce che, come già era avvenuto per il quesito sull’acqua, si parla di pere e si scrive di mele. Il refendum infatti prevedrebbe l’abrogazione dell’intera legge elettorale e, secondo gli auspici dei promotori, questo riporterebbe in vita la precedente legge elettorale il cosiddetto Mattatellum. Un’interpretazione che, mi sia concesso, appare piuttosto sperticata e che rischia di far sì che la consulta non accetti nemmeno il quesito referendario, rendendo vani gli sforzi dei promotori e paradossalmente rafforzando il porcellum.

L’argomento portato dai promotori che la consulta terrà conto della percezione negativa che i cittadini hanno dell’attuale legge elettorale, ci pare ottima al bancone del bar ma un pochino più debole in un dibattimento di fronte alla Corte Costituzionale.

Certo nella cautela del PD gioca anche un non digerito amore per il proporzionale e una storia seppur recente che ha visto quel partito deliberare all’unanimità per il doppio turno alla francese, tentare l’accordo con Casini sul modello tedesco, far dichiarare al segretario la preferenza per quello ungherese e avere propri dirigenti nei comitati referendari sia per il ritorno al mattatellum che in quello per il ritorno al proporzionale. Tuttavia, per una volta, la prudenza del pd potrebbe tornargli utile non costringendolo in un angolo quando (e se) la corte dovesse non accogliere il quesito.

 

Dal Porcellum al Cignalum

Dal Nuovo Corriere di Firenze del 2 dicembre 2010.

In tutto il discutere di crisi e scenari futuri del governo, della maggioranza e delle opposizioni non manca mai il tema della riforma elettorale. Fateci caso il tema del baratro economico a cui è appeso il Paese è usato più per schermo tattico a cui appoggiare governi tecnici, per rigettare elezioni anticipate o per rinsaldare il Berlusconi quater. Ma appena si parla di riforma elettorale tutti si infiammano, tutti i partiti hanno la loro proposta. Il senatore Ceccanti (PD) ha persino presentato più proposte di legge di modifica con quasi tutti i sistemi elettorali in vigore sul globoterracqueo.

Complice la più alta (e nefasta) densità di politologi in servizio permanente effettivo del mondo la nostra politica è capace di discutere su ogni tipo di sistema elettorale (francese, tedesco, americano, buoni ultimi l’australiano e l’ungherese), di applicare un sistema di elezione diverso per ogni livello amministrativo e di governo e di aver cambiato più leggi elettorali negli ultimi anni che cappellini la regina Elisabetta nei giorni di Ascot.

Un tema quello della tecnicalità dei sistemi elettorali che tocca anche il punto del ritorno della preferenza. Invocata oggi come lo strumento principe per avvicinare il popolo all’eletto con la stessa ferocia con cui era stata additata a strumento di corruzione e malcostume negli anni in cui, spesso i soliti che oggi ne chiedono il ritorno, ne chiedevano la limitazione e poi l’abolizione.  Insomma ancora una volta si confonde il sintomo con la malattia, e si addita a una tecnicalità la responsabilità di un problema politico.

E’ forse utile ricordare un po’ la stagione dell’abolizione della preferenza per approcciarci a questa nuova stagione del suo possibile ritorno. Nei primi anni ’90 alla progressiva perdita di peso dei partiti, al loro crollo di credibilità e alla fine delle ideologie, la classe politica subì da un lato l’offensiva giudiziaria e dall’altro un movimento referendario che chiedeva l’abolizione della preferenza plurima; per alcuni, i Radicali e Segni, al fine di spostare il sistema verso un maggioritario puro, per altri (tra questi l’allora PDS) nella speranza di conquistare e guidare il cambiamento in atto.  La scelta di abolire la preferenza multipla fu difesa come modo per limitare gli aspetti clientelari e di infiltrazioni malavitose nell’agone elettorale.

Ciò però, insieme all’inserimento di forme di elezione diretta per sindaci e presidenti di Provincia, unito alla debolezza di partiti sempre meno aderenti alla realtà sociale del Paese portò, anche con la preferenza unica, a una progressiva personalizzazione e persino familiarizzazione della rappresentanza, creando legami tra l’eletto e il territorio che non scongiuravano affatto pecche di moralità nella classe politica, oltre ad indebolire i partiti ogni giorno di più.

Vi era dunque un terreno fertile per Berlusconi e il berlusconismo anche nella società politica italiana. E’ forse utile ricordarlo oggi che se ne profila la fine.

Negli anni successivi quel che restava dei partiti politici ha continuato a cercare di mettere argine alla propria decadenza immaginando nuove soluzioni elettorali o, per dirla con il vecchio Marx, ha badato alle sovrastrutture piuttosto che alle strutture della rappresentanza e del conflitto politico e sociale.

In questo la nostra regione per prima ha affrontato il tema del superamento delle preferenze pur mantenendo un sistema proporzionale. Anche qui molti in buonafede negli allora DS giustificavano questa scelta come barriera al personalismo e ai costi delle campagne elettorali (dunque con una funzione morale) e come modalità che avrebbe riportato al centro i partiti politici e avrebbe ridato primato alla politica collettiva.

Accanto a questo è entrato prepotentemente sulla scena il tema delle primarie, almeno nel versante del centrosinistra. Anche qui, aldilà delle competizioni squilibrate come quella per l’elezione di Prodi, le primarie hanno verificato l’impotenza dei partiti a determinare gli esiti della competizione. Segno che il tema, ancora una volta, non fosse tecnico ma politico.

Dunque oggi visto che uno dei possibili scenari nazionali è quello della correzione del porcellum attraverso la reintroduzione della preferenza o che tale direzione pare essere quella con più consenso in regione per la riforma del cignalum o, infine, che nel PD si parla apertamente di scaricare le primarie occorre tenere presente che non saranno scelte tecniche a ridare forza ai partiti e che non si risolveranno così i problemi di lontananza tra cittadini ed eletti.

Tanto perché, come tanti personaggi di Altan, non si finisca per guardare il dito dimenticandosi dell’ombrello infilato proprio lì.