E’ arrivata la manovra, è arrivato il temporale…

Dal Nuovo Corriere di Firenze del 8 dicembre 2011.

E’ arrivata la manovra, che è un po’ come la bufera che cantava Rascel, quella in cui c’è chi sta bene e chi sta male e chi sta come gli pare.  Nonostante il mantra “tecnico” del rigore e dell’equità anche questa volta, a naso, del primo ne vediamo molto della seconda qualche pezzetto, che è sempre meglio di niente sia chiaro, ma non consola così tanto quando si va a fare il pieno col gasolio aumentato di 11 centesimi. A meno che non si faccia come quel giornalista di sky tg24 che, proprio nel servizio dedicato all’aumento dei carburanti, definiva equa la misura perché colpisce tutti. Certo se si toglie 10 a chi ha 100 si è equi come se si toglie i soliti 10 a chi ha venti. Ma ci faccia il piacere avrebbe detto il Principe De Curtis. E forse un po’ più equi si sarebbe stati a chiedere qualche rinuncia anche a Santa Romana Chiesa, visti i tempi grami per le proprie pecorelle. Pare che persino Verdini, oltre ai soliti radicali, abbia posto il tema, mentre il PD tace e il governo dice che non ha avuto tempo di studiare. Che, se ci pensate bene, è fantastico un governo di professori, che usa la scusa più frequentemente utilizzata dagli scolari di tutto il mondo. Ma la Chiesa vive periodi difficili, va capita: c’è infatti a Prato un parroco che ha chiesto ai propri fedeli di consegnargli i propri “ninnoli” in argento per fonderli e fare un nuovo reliquiario per la sua parrocchia. Speriamo che nel frattempo, vista la crisi, i suoi parrocchiani non abbiano già impegnato tutti i gioielli di famiglia. Invece si è ancora in tempo per essere equi portando sino in fondo la riforma annunciata delle Province. Già perché la data prima anticipata di riforma delle giunte e dei consigli provinciali, fissata al novembre dell’anno prossimo, è scomparsa dal testo del Decreto e rimandata ad un’ulteriore legge che dovrà definire i tempi. Un metodo molto spesso utilizzato per non far di nulla delle cose annunciate. Il senatore Ceccanti (PD) ha proposto di modificare in aula il decreto in corso di conversione inserendo il termine naturale delle consiliature provinciali per avviare la riforma. Una posizione di buonsenso che speriamo le forze politiche, da sempre a parole favorevoli addirittura all’abolizione delle province, voteranno

Dal Porcellum al Cignalum

Dal Nuovo Corriere di Firenze del 2 dicembre 2010.

In tutto il discutere di crisi e scenari futuri del governo, della maggioranza e delle opposizioni non manca mai il tema della riforma elettorale. Fateci caso il tema del baratro economico a cui è appeso il Paese è usato più per schermo tattico a cui appoggiare governi tecnici, per rigettare elezioni anticipate o per rinsaldare il Berlusconi quater. Ma appena si parla di riforma elettorale tutti si infiammano, tutti i partiti hanno la loro proposta. Il senatore Ceccanti (PD) ha persino presentato più proposte di legge di modifica con quasi tutti i sistemi elettorali in vigore sul globoterracqueo.

Complice la più alta (e nefasta) densità di politologi in servizio permanente effettivo del mondo la nostra politica è capace di discutere su ogni tipo di sistema elettorale (francese, tedesco, americano, buoni ultimi l’australiano e l’ungherese), di applicare un sistema di elezione diverso per ogni livello amministrativo e di governo e di aver cambiato più leggi elettorali negli ultimi anni che cappellini la regina Elisabetta nei giorni di Ascot.

Un tema quello della tecnicalità dei sistemi elettorali che tocca anche il punto del ritorno della preferenza. Invocata oggi come lo strumento principe per avvicinare il popolo all’eletto con la stessa ferocia con cui era stata additata a strumento di corruzione e malcostume negli anni in cui, spesso i soliti che oggi ne chiedono il ritorno, ne chiedevano la limitazione e poi l’abolizione.  Insomma ancora una volta si confonde il sintomo con la malattia, e si addita a una tecnicalità la responsabilità di un problema politico.

E’ forse utile ricordare un po’ la stagione dell’abolizione della preferenza per approcciarci a questa nuova stagione del suo possibile ritorno. Nei primi anni ’90 alla progressiva perdita di peso dei partiti, al loro crollo di credibilità e alla fine delle ideologie, la classe politica subì da un lato l’offensiva giudiziaria e dall’altro un movimento referendario che chiedeva l’abolizione della preferenza plurima; per alcuni, i Radicali e Segni, al fine di spostare il sistema verso un maggioritario puro, per altri (tra questi l’allora PDS) nella speranza di conquistare e guidare il cambiamento in atto.  La scelta di abolire la preferenza multipla fu difesa come modo per limitare gli aspetti clientelari e di infiltrazioni malavitose nell’agone elettorale.

Ciò però, insieme all’inserimento di forme di elezione diretta per sindaci e presidenti di Provincia, unito alla debolezza di partiti sempre meno aderenti alla realtà sociale del Paese portò, anche con la preferenza unica, a una progressiva personalizzazione e persino familiarizzazione della rappresentanza, creando legami tra l’eletto e il territorio che non scongiuravano affatto pecche di moralità nella classe politica, oltre ad indebolire i partiti ogni giorno di più.

Vi era dunque un terreno fertile per Berlusconi e il berlusconismo anche nella società politica italiana. E’ forse utile ricordarlo oggi che se ne profila la fine.

Negli anni successivi quel che restava dei partiti politici ha continuato a cercare di mettere argine alla propria decadenza immaginando nuove soluzioni elettorali o, per dirla con il vecchio Marx, ha badato alle sovrastrutture piuttosto che alle strutture della rappresentanza e del conflitto politico e sociale.

In questo la nostra regione per prima ha affrontato il tema del superamento delle preferenze pur mantenendo un sistema proporzionale. Anche qui molti in buonafede negli allora DS giustificavano questa scelta come barriera al personalismo e ai costi delle campagne elettorali (dunque con una funzione morale) e come modalità che avrebbe riportato al centro i partiti politici e avrebbe ridato primato alla politica collettiva.

Accanto a questo è entrato prepotentemente sulla scena il tema delle primarie, almeno nel versante del centrosinistra. Anche qui, aldilà delle competizioni squilibrate come quella per l’elezione di Prodi, le primarie hanno verificato l’impotenza dei partiti a determinare gli esiti della competizione. Segno che il tema, ancora una volta, non fosse tecnico ma politico.

Dunque oggi visto che uno dei possibili scenari nazionali è quello della correzione del porcellum attraverso la reintroduzione della preferenza o che tale direzione pare essere quella con più consenso in regione per la riforma del cignalum o, infine, che nel PD si parla apertamente di scaricare le primarie occorre tenere presente che non saranno scelte tecniche a ridare forza ai partiti e che non si risolveranno così i problemi di lontananza tra cittadini ed eletti.

Tanto perché, come tanti personaggi di Altan, non si finisca per guardare il dito dimenticandosi dell’ombrello infilato proprio lì.