Dal Nuovo Corriere di Firenze del 3 novembre 2011.
Nel caso di Matteo Renzi, per Pierluigi Bersani, la paura fa ’80. Come gli anni 80 evocati dal segretario del PD in risposta all’adunata renziana di Firenze. Sgombriamo subito il campo, Bersani non ce l’aveva certo contro Duran Duran o Spandau Ballett, ma piuttosto verso il decennio dell’affermazione neoliberista nel mondo e di Craxi nella sinistra italiana. Un tabù che si pensava superato dopo l’apertura che fece l’allora segretario DS Fassino e che invece rimane come anatema assoluto da scagliare verso il nemico di turno. Un anatema che, nella migliore tradizione inquisitoria, della “bestia” cela persino il nome.
Ma almeno Bersani ha, come scusante, di aver pronunciato quell’anatema quando ancora il big-bang non aveva prodotto i cento punti, che, una volta letti, possono tranquillizzare chi vive come un’ossessione quella stagione di riformismo e d’innovazione del paese e ne vede tracce dappertutto anche laddove, come in questo caso, non ve ne sono.
Perché intanto i cento punti di Renzi non sono affatto un programma di governo. E c’entra poco la vocazione wiki (un programma che si crea in rete grazie all’apporto di tutti) ma piuttosto lo scopo che i cento punti e la Leopolda II hanno. E lo scopo di Renzi non è, al momento, quello di proporsi al governo del Paese piuttosto quello di ottenere primarie libere e conseguentemente vincerle.
Non occorre quindi accanirsi contro la disomogeneità delle proposte, la vaghezza di molte e in alcuni casi il fatto che quelle cose o sono state fatte o sono in contrasto con altre proposte. A Renzi non interessa un‘idea di Paese da governare, interessa un’offerta in cui tutti, o almeno molti, possano riconoscersi e prendere un pezzettino all’interno del supermarket della contemporaneità che rappresenta (splendida definizione di Stefano Menichini direttore di Europa).
Questo è lo scopo celato sotto il “tocca a te” vergato da Edoardo Nesi: tocca a te scegliermi perché le mie 100 offerte sono lì belle e colorate. Come lo erano quelle per i Fiorentini, cambia la scala non il marketing. Così come il frigorifero SMEG in bella posta sul palco, oggetto comune ma in versione trendy, riconoscibile a tutti ma desiderabile nel suo essere come quello che abbiamo in casa ma meglio.
E chissà se Renzi e chi con lui ha pensato quel set ricordava le pagine di un Umberto Eco dei primi sessanta in cui proprio a partire dalla pubblicità di un frigorifero a Carosello disegnava l’incedere della società dei consumi e la creazione del bisogno che la televisione stava costruendo negli italiani.
Perché la Leopolda II è stata in larga parte un happening mediatico, televisivo e non post-televisivo come l’ossessione informatica verso twitter (che nel frattempo ha rottamato facebook sul palco) voleva far passare. Un format già presente alla prima edizione che ha catturato l’attenzione dei tanti televisivi presenti (Gori, Campo Dall’orto) ma che non hanno creato loro. Quello in sala era un pubblico venuto per sentire ma anche per farsi vedere, inquadrare, alla ricerca del sacrosanto quarto d’ora di partecipazione politica che le adunate classiche di partito negano per definizione. Renzi non ha un blocco sociale di riferimento, ha un’audience, trasversale come i voti che intende erodere; un pubblico da coccolare e da far sentire parte dello show: lo spettacolo più grande dopo il big bang appunto.
Dunque Renzi ha messo in campo la sua dinamica contemporaneità, e lancia l’assalto al cielo delle primarie. A questo offensiva Bersani pare rispondere più con l’istinto che con la ragione. Con la presunzione di pensare che le idee, la solidità e la storia alla fine rendano più dell’immagine. Ed è un peccato faccia così, perché rappresenta, agli occhi del suo stesso elettorato, una chiusura. Bersani è rassicurante, ma per esserlo funziona da chioccia per i suoi, rischiando di risultare ben poco inclusivo per chi della ditta non fa parte. E’ un film che a Firenze abbiamo già visto quando scese in campo, per le primarie, Michele Ventura convinto che il gran Partito e il sindacato, il richiamo alla filiale locale della ditta, potessero da soli bastare. Non bastarono e Ventura arrivò quarto. Ultimo fra i democratici.
Bersani certo è altra cosa, intanto non è uno sfidante ma il detentore, ed ha intelligenza e capacità per poter rispondere alla sfida di Renzi in tutt’altro modo. Certo ha l’handicap non piccolo di non poter giocare la carta principe del suo avversario, il rinnovamento, essendo lui stesso uno degli impedimenti e non gli basterà dire della segreteria fatta da quarantenni se poi non riesce o non vuole far sì che siano quegli stessi quarantenni il volto esclusivo del PD in ogni manifestazione ed in ogni programma televisivo.
Non è un caso che proprio ad uno di quei quarantenni arrivi l’attacco più duro e marrano della Leopolda. Renzi conta che prevalga l’istinto dei vecchi dirigenti di mettere in sicurezza i giovani, di non esporli, di proteggerli. Sarebbe l’errore più grave e il rendere la strada più agevole al sindaco di Firenze sul punto sul quale è indubbiamente e con molte ragioni più forte.
Se Bersani sarà bravo, o altrimenti se i giovani del PD si sapranno smarcare fino a proporre una propria proposta autonoma ne guadagnerà soprattutto il PD e la sua offerta politica finale. A Renzi rimarrà comunque il merito (ed il vantaggio) di aver aperto la strada ad un rinnovamento del suo partito e del centrosinistra tutto.