La Mole della ricchezza

Dal Nuovo Corriere di Firenze del 13 gennaio 2011

Durante le sue lezioni universitarie sul riformismo nel secondo dopoguerra, Paul Ginsborg era solito usare, come immagine della disuguaglianza di reddito tra i molti poveri e i pochi ricchi, la mole antonelliana di Torino.

Quella strana costruzione, pensata prima come sinagoga e che ha poi avuto molteplici usi, sino ad essere oggi un museo del cinema molto apprezzato, è un monumento maestoso, la cui imponente altezza si basa su una base quadrata molto amplia. Ecco, ci diceva il nostro Professore, la nostra società è fatta così, una grossa base e una ristrettissima punta divise da centinaia di metri e da migliaia di denari.

Se oggi volessimo aggiornare quella rappresentazione dovremmo forse immaginarci una mole che rivaleggi, per altezza e dimensioni, con i grattacieli più alti del mondo che spuntato tra lo smog di Shangai e il deserto del Dubai.

E’ un dato pubblicato dall’ISTAT di questi giorni infatti che ci mostra come il paese sia largamente bloccato, nei consumi e negli stipendi, mentre le imprese ricominciano a fare, seppur timidi, utili. Dunque la possibile ripresa non si traduce in ricchezza per tutti, e in nuovo lavoro. Tanto che molti analisti parlano tranquillamente di una ripresa che coinciderà con un aumento della disoccupazione per ancora almeno un paio di anni.

Non si investe in nuovo lavoro per paura, perché si teme che la ripresa sia effimera, e che quel poco guadagno che si intravede non basti a garantire, nel medio lungo periodo, nuove assunzioni. E allora si preferisce aumentare qualche ora di straordinario, qualche ora a nero, a scapito di garanzie, controlli e soprattutto opportunità per quelli che sono fuori dal circuito del lavoro.

E ciò è più vero in un Paese in cui il tessuto produttivo è fatto da micro piccole imprese, forza e maledizione del nostro sviluppo.

A questi tanti imprenditori, poco si può rinfacciare in molti casi. Chi se la sente di accusarli di non investire in nuovo lavoro oggi? Ci sono certo quelli che han preferito non reinvestire l’utile in ditta e si sono innalzati nella scala della Mole, cambiando il SUV o la casa al mare, ma ci sono tanti che hanno acceso l’ennesimo fido in banca per pagare gli stipendi e usano la ripresa per estinguerlo.

Il punto dovrebbe essere di sistema, di capacità di fornire servizi comuni alle piccole imprese, di garantire loro credito, innovazione, ricerca e internazionalizzazione. Di fornire loro opportunità per crescere, magari vincolando questa loro crescita a nuova occupazione e nuovo reddito.

Accanto a questo sarebbe necessario che si risolvessero quei problemi strutturali che oggi rendono non convenienti gli investimenti, in modo magari anche da non essere costretti al “bere o affogare” dell’unico che parla di investire in Italia e cioè Marchionne. Insomma invece di fare il tifo tra Marchionne o la FIOM sarebbe più utile che si risolvessero i veri impedimenti agli investimenti: legislazione, giustizia, infrastrutture e tasse.

Non si sarebbe più costretti a discutere tra investimenti e diritti, ma si potrebbe finalmente rispondere ai bisogni e alle opportunità.

Come so’ ste olive?

Tutti a parlare di Grecia. Tutti a discutere di Pil, Buoni del Tesoro, Fondo Monetario di debito che arriverà al 140% del PIL e quasi nessuno a chiedersi come si sia potuto arrivare a tanto. Tra i pochi, qui da noi, il sole 24ore e la sua propaggine radiofonica Radio 24. Così ascolando e leggendo un idea che, aldilà della cospirazione mondiale della speculazione (una specie di SPECTRE dei banchieri) accusata ieri anche dai sindacalisti ellenici in visita al congresso della CGIL, qualche responsabilità ce l’abbia anche l’intero popolo greco ti viene

Intanto in Grecia le tasse non si pagano. Sta brutto, non si usa. Pare anzi che l’ultimo scontrino l’abbia richiesto Socrate e si sa che fine gli abbiano fatto fare.  Ancora peggio va per la casa. La mancanza di qualsivoglia strumento urbanistico di governo del territorio oltre ad aver sconvolto il paesaggio ha fatto sì che semplicemente non si pagasse niente perchè, per lo Stato, non esistevano. Tutto abusivo tutto gratis.

Accanto a questo una legislazione sull’età pensionabile che prevede il pensionamento anticipato a 50 anni per alcune categorie di lavoro usurante piuttosto singolari. I conduttori televisivi e radiofonici, per esempio, minacciati dalle colonie di batteri presenti nei reticoli dei microfoni, oppure i parrucchieri minacciati dalla tossicità delle tinture per capelli, evidentemente molto diffuse anche tra i rudi uomini greci visto che la legge non fa distinzione tra coiffeur puor hommes o pour dames.

E poi il bonus, nel pubblico impiego, per chi arriva in ufficio in orario, gli innumerevoli enti inutili tra cui uno per la salvaguardia di un lago prosciugatosi nel 1930.

Accanto a questo governi con il ricambio di classe dirigente che va per ere geologiche e quando finiscono per consunzione i padri gli succedono i figli. Governi bugiardi come quello di centrodestra sconfitto alle elezioni di ottobre che ha falsficato i conti mandati a Bruxelles (anche se su questo bisognerebbe aprire un ragionamento sui solerti funzionari europei che non si sono accorti dei conti falsi) oppure quantomeno lenti come quello socialista in carica che ha perso almeno quattro mesi prima di muoversi con energia sia verso Bruxelles che verso i propri cittadini preparandoli alle lacrime e sangue che li attenderanno.

Quattro mesi persi che hanno fatto sì che, insieme alla quasi nulla propensione al risparmio privato dei greci, oggi sia impensabile attuare forme di prelievo forzoso o di patrimoniale secca (sul modello fatto da Amato nel 92 quando la Lira fu sbattuta fuori dallo SME) perchè i capitali sono tutti già scappati all’estero (si calcola 20 miliardi di Euro) e sui conti correnti restano solo i risparmi delle vecchiette; mentre a Chelsea, Londra, i prezzi delle case di lusso sono schizzati alle stelle grazie ai milionari greci che cercano nuovi investimenti all’estero.

Riuscirà la Grecia a reggere la tensione sociale che è esplosa, riuscirà un classe politica che si è dimostrata inetta (centrodestra) o tentennante (centrosinistra) a tenere la barra ferma a varare alcune finanziarie da tregenda per ricevere i prestiti (non gli aiuti) europei? Prevarrà ancora in Europa la convinzione che il modo migliore di salvare i più forti sia aiutare la Grecia piuttosto che scaricarla?

E qui da noi, la paura di fare la stessa fine, viste alcune evidenti analogie almeno in una buona parte del Paese farà sì che quelle riforme necessarie di cui parla per esempio Marco Cappato qui (o altre che si ritengano migliori) si facciano prima della bancarotta?

Oggi Papandreu ha dichiarato, commentanto i tre morti dei disordini ateniesi, che la Grecia è sull’orlo del baratro, noi temiamo che abbia fatto un passo avanti.