La Liberazione del Carcere

Dal Nuovo Corriere di Firenze del 26 Aprile 2012.

Quando ci si “libera” da un regime, uno dei primi cancelli a cadere è quello delle carceri. Dalla Bastiglia alle prigioni di Bagdad e Kabul non c’è quasi Liberazione che non abbia abbattuto il luogo principe del manifestarsi del giogo dell’oppressore. Dunque non scandalizzi né stupisca che proprio ieri, il 25 aprile, festa della Liberazione dal nazifascismo, i Radicali abbiano deciso di organizzare una marcia per chiedere l’amnistia contro le inumane condizioni carcerarie italiane. Un vero e proprio crimine di Stato, ripete Pannella da anni, in cui chi vive il carcere (non solo detenuti ma anche la polizia penitenziaria) si trova in condizioni inumane contrarie ad ogni standard di legge e umanità. Una condizione definita di “prepotente urgenza” dallo stesso Presidente Napolitano questa estate senza che poi nulla si sia davvero fatto per cambiare lo stato delle cose. Nel frattempo in questo 2012 i morti in carcere sono stati già 57 di cui 20 i suicidi, mentre i detenuti in attesa di giudizio superano la soglia del 40%. Non bastassero questi dati il sovraffollamento cresce nonostante i provvedimenti cosiddetti svuota carcere che in realtà non svuotano un bel niente e le continue condanne del nostro Paese in sede europea per le condizioni carcerarie e la lentezza dei processi. Nel frattempo le forze politiche non vogliono sentir parlare di Amnistia (precondizione per una vera riforma della giustizia) e a parole si dicono pronti ad una riforma della giustizia che in realtà o non vogliono fare o che torna comodo a pochi interessati, già forti dell’amnistia di classe che si chiama prescrizione. Quella prescrizione contro la quale si scaglia il partito delle manette che urla alla luna dei potenti liberati (senza incidere sul loro destino processuale) ma dimentica i tanti disgraziati in carcere solo per la loro misera condizione economica. Il governo tecnico, infine, si diceva all’avvio pronto a riformare la giustizia italiana, visti anche gli enormi costi economici che questa inefficienza comporta, per poi far sparire sotto il tappeto la questione.  Dunque ben venga la marcia per l’amnistia e la richiesta di un’altra vera Liberazione.

Napolitano col K

Dal Nuovo Corriere di Firenze del 14 luglio 2011

Ancora una volta le istituzioni italiane si dimostrano malleabili, molto più che altrove, rispetto a chi pro tempore le incarna; con l’effetto che, da noi, le uniche riforme istituzionali possibili sono quelle legate al carattere e all’attitudine di chi ci governa piuttosto che alle regole e ai vincoli costituzionali. In particolare la Presidenza della Repubblica ha, nel corso degli anni, visto modificare il suo potere e il suo spazio di intervento (senza che alcuna modifica costituzionale la scalfisse), a seconda di quale inquilino abitasse il Quirinale.

Buon ultimo il presidente Napolitano ha in questi anni inaugurato una coabitazione all’italiana che a molti è sembrata spesso una supplenza al governo stesso, apparso o distratto o incapace di attuare alcuna delle politiche che aveva promesso. Lo stesso Berlusconi ha dichiarato che è stato costretto ad intervenire in Libia per colpa di Napolitano, oppure si possono ricordare le pressioni più o meno esplicite che il colle ha fatto sui provvedimenti più controversi della legislatura. Ben oltre la moral suasion di Ciampi e con maggior efficacia e rispetto per la forma di Scalfaro, Napolitano è apparso sempre più come un attore piuttosto che un arbitro nella politica italiana, dimostrando ancora una volta la regola aurea della politica: non esiste il vuoto perché qualcuno lo riempie immediatamente. Napolitano ha dunque riempito il vuoto dell’inanizione del governo di centrodestra, garantendo al paese credibilità e fiducia in un momento così critico, forte di una simpatia oltreoceano che il presidente Obama ha più volte manifestato; ma svolgendo contemporaneamente  anche un ruolo di supplenza dell’opposizione a cui è parso spesso consigliare l’atteggiamento da tenere nei rapporti col governo.

Un comportamento che pochi avrebbero potuto immaginare al momento della sua elezione, la prima di un ex comunista, seppur atipico. Il primo PCI accolto negli USA, quello che si oppose con molte ragioni al Berlinguer della questione morale e che proponeva un esito socialista a partire dal nome alla svolta occhettiana. Uno bravo e preparato che, dicevano i suoi detrattori, aveva spesso ragione prima degli altri ma che non riusciva a convertire quella ragione in vittorie politiche per mancanza di coraggio. E’ forse oggi, nel momento più alto della sua carriera ed in uno dei più drammatici del Paese, che Napolitano potrebbe prendersi la sua rivincita avendo ragione prima degli altri. Per il bene del Paese speriamo proprio che sia così.