L’arresto del deputato dopo i fochi.

Dal Nuovo Corriere di Firenze del 12 gennaio 2012.

L’autorizzazione all’arresto dei Parlamentari è una delle (tante) irrazionalità che popolano la giustizia italiana, figlia dell’ennesima legislazione fatta sulle emozioni piuttosto che sui ragionamenti e sulla coerenza. Infatti il nostro codice prevede l’arresto prima della sentenza soltanto in presenza di uno di tre casi concreti: pericolo di fuga, inquinamento delle prove e reiterazione del reato. Com’è comprensibile si tratta di tre situazioni che richiedono ai magistrati di agire piuttosto velocemente nei confronti dell’imputato.
Nel caso invece dell’autorizzazione all’arresto dei parlamentari passano settimane, anzi mesi, da quando il giudice emette l’ordinanza di arresto a quando l’aula decide. Mesi in cui l’imputato può scappare all’estero, far sparire prove compromettenti o continuare nelle azioni malavitose che gli vengono imputate. Certo non è colpa dei magistrati ma dei politici che nella stagione di mani pulite si tolsero l’immunità parlamentare ma decisero di mantenere qualche forma di salvaguardia in modo del tutto raffazzonato.
Dunque siamo di fronte a un paradosso che rende peraltro molto complicato il lavoro dei deputati che devono giudicare non l’imputato ma i giudici, cioè se esista nei confronti dell’imputato uno spirito di persecuzione da parte dei giudici e come non farsi assalire dal ragionevole dubbio che un procuratore, ben cosciente del tempo che intercorre tra richiesta e voto del Parlamento, non si stia muovendo sul pericoloso filo tra ricerca della verità giuridica e costruzione di un teorema accusatorio.  Se poi, come molte volte si tratta, la fattispecie di reato contestata è quella di concorso esterno in associazioni mafiose, reato non definito dal codice, la confusione aumenta a dismisura.
Ecco quindi che, nel caso Cosentino discusso l’altro giorno in commissione e che andrà in aula oggi, colpisce come la maggior parte delle attenzioni si siano incentrate sul voto del radicale Turco. Uno che ha studiato le carte, ha ragionato su queste e sul merito dell’inchiesta come è inevitabile fare se si deve accertare che i magistrati stiano o meno perseguendo il deputato e, alla fine, ha espresso un voto contrario all’arresto con motivazioni, che si possono o meno condividere, ma che sono tutte nel merito della questione.
Peraltro Turco ha sempre agito con questo metodo, addivenendo ogni volta a decisioni diverse di caso in caso. Stupiscono quindi reazioni del tipo “il solito radicale” (come se fosse un insulto e non un complimento) o tanta attenzione a chi, non ha fatto altro che il suo dovere. Ma stupisce anche la reazione dei radicali, subito pronti a definire “non determinante” il voto del proprio deputato, che è poi, in sedicesimo,  la stessa logica, perversa, che porta la Lega a decidere della libertà di un uomo in attesa di giudizio sulla base di conte interne tra correnti o al bisogno di rifarsi una verginità ora che sono all’opposizione.