Nemmeno una risata a seppellirli

Dal Nuovo Corriere di Firenze del 28 luglio 2011.

Non sono mancati, in queste settimane, paralleli più o meno spinti fra l’attuale crisi del Paese e quella che lo travolse tra il 1992 e 1993 ai tempi della cosiddetta tangentopoli. In fondo, dicono i sostenitori della tesi, siamo di fronte al discredito di un’intera classe politica, ad una crisi economica e ad un debito pubblico enorme come allora. Purtroppo rispunta anche un suicidio ad aumentare le analogie con quel periodo storico. Ma una differenza, seppur apparentemente di poco conto, ci separa da mani pulite. La capacità di riderne. Come spesso accade infatti quella stagione fu preceduta, nel sentire comune degli italiani, prima delle inchieste, dalle barzellette e dai monologhi dei comici. Come dimenticare Beppe Grillo e il suo show sul viaggio in Cina di Craxi e la moltitudine di parenti che fu più efficace di 10.000 post apocalittici del suo blog attuale? Oppure le mille barzellette sui socialisti che rubavano, le quali raccontavano (o forse creavano?) una storia che poi le indagini talvolta accertarono e talvolta proseguirono senza costrutto. Infine Cuore, settimanale di resistenza umana, che più di mille saggi ci raccontò in tempo reale la degenerazione di una classe politica e di un Paese tutto. Titoli epocali come “Torna l’ora legale, panico tra i socialisti”, i racconti della casta sotto il titolo “hanno la faccia come il culo” o la fotonotizia del primo avviso di garanzia a Craxi con un fotomontaggio di Bettino in procinto di lanciarsi dalla sommità dell’hotel Raphael e la didascalia “l’ha presa bene!”. Certo satira cattiva, perfida, spesso unidirezionale e un tanto al chilo, ma capace di incanalare, soprattutto nelle giovani generazioni la rabbia e il risentimento e trasformarlo, se non in impegno, almeno in riflessione.  Un ultimo colpo di coda dello spontaneismo e degli anni settanta, di quella risata che doveva seppellire il potere e che invece, incapace di darsi eredi, ha finito per disperdersi e non trovare più casa comune, incattivendosi nel diventare seria. Quello che ha provato a sostituirsi in questi anni, non ha mai avuto la stessa leggera capacità di prendersi ampiamente in giro e appare, come per esempio il Misfatto attuale, un tentativo più simile alla satira propagandistica che a un foglio “libero” nella tradizione de il Male o, per contrappunto, il Candido. Il ’92 lo affrontammo anche ridendo di noi stessi: dei nomi bizzarri delle botteghe oscure che disseminano il Paese, delle tette e dei culi che affollavano (ed affollano) le copertine dei settimanali politici e non soltanto dei potenti. La satira, quella satira, ci chiamò còrrei  e, come cantava Guccini, ci spiegò che “soltanto i pochi che si incazzarono dissero che era l’usato passo fatto dai soliti che ci marciavano per poi rimetterlo sempre là, in basso”.