Il vicolo cieco e la rivoluzione

Dal Nuovo Corriere di Firenze 11 agosto 2011.

C’è almeno un paradosso pericoloso nella crisi che stiamo vivendo. Da ogni parte ci dicono che il neoliberismo è fallito ma contemporaneamente le misure che ci vengono via via imposte null’altro sono che continuazione di politiche fortemente influenzate dal pensiero neoliberista.  Basti pensare alla discussione sull’inserimento in Costituzione del vincolo di pareggio di bilancio. Una misura che limita il potere dei governi, e dunque della politica, di fronte ai meccanismi dell’economia e della contabilità. Si badi bene, questo non vuol dire che sia bello indebitarsi “a bocca di barile” ma subordinare le politiche sociali e i servizi da dare ai cittadini (scuole, ospedali, trasporti…) ai meccanismi contabili è la prosecuzione (o meglio l’aggravamento) delle politiche di vincolo degli anni novanta (ricordate Maastricht?) che non hanno risolto i problemi strutturali del Paese.

Non c’è speranza (gli ultimi 18 anni sono lì a dimostrarlo) di  uscire dalla crisi senza uno scatto di cessione di sovranità vera verso strutture sovranazionali finalmente politiche e non solo monetarie. Quello che serve oggi ( e soprattutto domani) è più Europa, più Europa dei popoli e non di Stati. Una guida finalmente politica e democratica, cioè eletta direttamente dai cittadini europei, almeno dell’economia e della fiscalità europea. Già oggi vediamo il fallimento di un Europa di Stati spinti dai loro interessi nazionali. Da un lato la Gran Bretagna di Cameroon di fatto si è isolata e disinteressata della crisi europea sperando di far passare la nottata in solitudine. Le immagini delle rivolte londinesi iniziano a dirci che forse nemmeno il leone inglese potrà cavarsela da solo, di fronte ad un intera generazione che non ha nulla da perdere, nemmeno le sue catene. Sul continente le paure tedesche condizionano e spesso bloccano interventi tempestivi ed efficaci (come nel caso greco) e l’esposizione di bilancio francese rende debole l’azione francese. Col rischio davvero reale che la costruzione europea vada in fumo non solo con l’abbandono dell’euro ma con la regressione alle piccole patrie e al nazionalismo spesso carico di odio.

Eppure qui da noi si pare più interessati al destino di un singolo esecutivo (quello in carica o quello apotropaico dei tecnici) piuttosto che al respiro lungo che servirebbe per uscire dalla più profonda crisi degli ultimi trent’anni. Solo poche voci isolate o di anziani saggi (Bonino, Ciampi, Amato, Napolitano) innalzano il coro dell’Europa soluzione possibile, mentre il governo affanna e le opposizioni si chiedono se potranno reggere i tagli che i podestà stranieri o italiani imporranno ed un’intera generazione di giovani latita dal dibattito pubblico mentre il suo futuro si decide di ora in ora. Diceva Brecht che solo nei vicoli ciechi si possono fare le rivoluzioni, basterebbe non essere così tanto miopi da non vedere il muro in fondo al vicolo italiano.

Le convergenze parallele della destra ugrofinnica

Dal Nuovo Corriere di Firenze del 21 aprile 2011

L’Ungheria e la Finlandia, paesi a primo avviso che più distanti non si può, sono invece legati dal medesimo ceppo linguistico: quello ugrofinnico per l’appunto. Una comunanza linguistica a cui in questi giorni si sono accomunate due vicende inquietanti e pericolose nella nostra Europa sempre più integrata e sempre più esplosiva. Da un lato l’ascesa dell’ultradestra finnica alle ultime elezioni e dall’altro la nuova costituzione magiara che rappresenta un pericoloso modello di contrazione della democrazia anche sul piano formale.

Il fenomeno finlandese non è nuovo, purtroppo. In molti paesi europei di fronte alle paure legate alla crisi economica e all’immigrazione, la risposta di chi soffia su queste paure e propone soluzioni drastiche e repressive dei problemi suscita un appeal verso l’elettorato spesso meno istruito e più povero. Un fenomeno già visto in Francia, Olanda e Germania e che ebbe nel governatore della Carinzia Haider un precedente anche per quanto riguarda la presenza e l’importanza nei governi nazionali degli stati. In Finlandia il partito di Timo Soini passa dal 4 al 19% divenendo fondamentale in ogni possibile combinazione governativa. Quello che colpisce è il momento in cui questa vittoria avviene, cioè quando è forte il riflusso dell’idea d’integrazione europea e la destra “classica” rischia di essere trascinata in una corsa al ritorno degli stati nazione, mentre la sinistra progressista e socialista, rimasta orfana di un modello vincente, stenta a ritrovare modi e valori con cui riproporsi all’elettorato, soprattutto popolare.  Insomma c’è il rischio che i finlandesi possano fare da apripista, spostando l’asse della destra europea (al momento al governo quasi ovunque) verso un euroscetticismo o peggio un’ostilità piena verso Bruxelles fino alla disgregazione dell’Unione, soprattutto se la crisi richiederà sforzi ulteriori per salvare altri paesi dopo Grecia, Irlanda e Portograllo. Il fatto che tra questi paesi possa esserci l’Italia non dovrebbe farci trascurare la cosa.

Fa poi specie che sia il nord scandinavo, portato a modello da noi come IL modello progressista di riferimento, appena sia leggermente minacciato il proprio stile di vita e sviluppo faccia schizzare a doppia cifra partiti per cui la nostra lega nord pare un’accolita di moderati.

Il caso ungherese invece dice molto su come la democrazia sia un concetto in divenire. La nuova carta magiara, oltre ad essere permeata di un forte spirito confessionale, attua una distinzione di diritti tra i cittadini magiari e le minoranze etniche. Viene dunque meno uno dei cardini delle costituzioni democratiche come le conosciamo e riappaiono fantasmi in territori segnati nel secolo scorso profondamente dai conflitti etnici. Oltre a ciò la nuova costituzione segna limitazioni dei poteri di garanzia, primo su tutti quello della corte costituzionale, nei confronti dell’operato del governo e della maggioranza parlamentare. Un processo di accentramento di potere che si somma alla legge sulla libertà di stampa approvata nei mesi scorsi che limitava già fortemente un altro fondamentale potere di controllo.

Ben poco rassicurante pare essere la presenza di un complicatissimo sistema elettorale che dovrebbe impedire derive plebiscitarie e lo strapotere di un singolo partito, visto che le ultime elezioni hanno visto la creazione di un forte esecutivo di destra.

Se dunque sono questi i venti che spirano dal nord e dall’est europeo ci pare ancora più surreale il dibattito politico italiano tutto bloccato a discutere della riforma della giustizia per uno solo. Da parte delle forze progressiste invece sarebbe l’ora che si tornasse a porre al centro la patria europea e non l’Europa delle sole regole.