Il comunismo spettacolare del giovane Marx

Vedere Marx, giovanotto, che corre per le strade di Parigi in fuga dai gendarmi. Bello, se non lui, l’attore che lo interpreta. Insolente come un Hippie, barbuto come un hipster. Lui che trascina con sé un efebico Engels. Giovani e rivoluzionari, pieni di vita, amati e amanti di donne belle, libere, tenaci.

Insomma il Giovane Marx, film di Raoul Peck, ci rende una rivoluzione che non è un pranzo di gala ma un’avventura filmograficamente interessante, persino avvincente. Ed è questo uno dei principali meriti di un film che rende appassionante la prima parte della vita di due filosofi, che passavano la maggior parte del tempo nello scrivere, nel confrontarsi sul materialismo e l’idealismo, polemizzando tra loro in diatribe molto più lunghe e complesse dei bei dialoghi del film. Eppure il film, nonostante le inevitabili semplificazioni e spettacolarizzazioni, regge anche sul piano del pensiero dei due amici che diedero un manifesto al comunismo.

L’altro punto forte del film è il cast, una generazione europea di attori capaci di recitare in tre lingue con accenti impeccabili (che invidia), con bravura e sentimento. Credibili e sempre sul filo della drammatizzazione senza però diventare caricatura. Un film accurato, nei pensieri e nelle ricostruzioni. Scenografie, costumi, persino la scelta dei cavalli, rimanda ad una precisione importante e all’altezza della confusione che le idee del giovane Marx portò a giro, come il suo famoso fantasma, per l’Europa.

Un film non ideologico ma che nelle frasi che lo concludono raccoglie, involontariamente forse, uno dei sensi dell’opera di Marx, il non finito, non come limite ma come presa d’atto che ce n’est qu’un début…

Articolo uscito su Cultura Commestibile n.258 del 14 aprile 2018

Il trapasso tutto da ridere di Stalin

La tragicità dello stalinismo è stata affrontata in saggi, romanzi, film. La durezza di quel regime, la ferocia di milioni di morti, imprigionati, le libertà soffocate, il terrore, il tradimento dell’ideale di eguaglianza, hanno attraversato generazioni di intellettuali. Eppure forse mai lo stalinismo è stato affrontato nel suo lato grottesco, nella sua farsa terribile. Troppi i morti, troppa la tragicità di intere popolazioni fatte morire di fame nelle carestie programmate per imporre il socialismo delle terre. Ci prova riuscendoci, Armando Iannucci, cineasta scozzese (a dispetto del nome) che mette in scena una commedia brillante, “Morto Stalin se ne fa un altro”, sulle ultime ore del dittatore sovietico e sulla successiva lotta per la successione.

Iannucci condensa molti fatti veri, seppur possano apparire completamente inverosimili, avvenuti sotto l’ombra del giorgiano, nello spazio dei giorni che vanno dalla morte al funerale di Stalin facendone un’iperbole che falsa un po’ la narrazione storica ma contribuisce a creare un effetto comico davvero eccellente. Così come eccellente è il cast, con una serie di attori in stato grazia, perfetti per il registro grottesco degli eventi: da Steve Buscemi nei panni (troppo magri rispetto all’originale) di Kruščëv o uno straordinario Simon Russel Beale in quelli (troppo grassi) di Lavrentij Berija. Un cast decisamente affiatato e british supportato da dialoghi scritti magistralmente che sono essenziali per un film corale in cui l’azione è tutta al supporto della sceneggiatura e non viceversa.

Siamo dunque di fronte a un piccolo film che però di questa dimensione trae vantaggio e si fa apprezzare per il suo essere molto divertente ma capace di farci riflettere sulle degenerazioni degli ideali, sulla tirannia e sulla sua riproducibilità, in questo il titolo italiano penalizzante rispetto all’originale (The Death of Stalin) ha almeno il merito, come ha notato in modo molto politically correct il regista nell’anteprima dello scorso martedì al cinema Stensen di Firenze, di farci riflettere sin da subito che quelle incredibili tragedie potrebbero anche ritornare se le dovessimo dimenticare.

Articolo uscito il 13 gennaio 2018 su Cultura Commestibile n.245

Gli ultimi Jedi dirazza e non delude

Arrivati all’ottavo episodio di una delle più longeve e fortunate saghe cinematografiche, gli ultimi Jedi, non delude le aspettative e anzi supera di gran lunga il predecessore, primo della trilogia targata Disney, mostrando una maturità ed un autonomia che fanno bene al film e alla saga. Visto al primo giorno di programmazione in un tripudio di spade laser brandite da quarantenni accompagnati dai propri figli, gli ultimi Jedi, è un film spettacolare, forse un po’ troppo ingarbugliato e con un’eccessiva ramificazioni di sotto trame che a qualche spettatore han fatto pensare al “troppa trama” di universale memoria, che gioca con l’effetto nostalgia ma in modo meno smaccato e pesante del predecessore.

Eppure il film, lungo, scorre e non si ingolfa mai, certo la storia talvolta si risolve senza difficoltà, in uno standard da film d’azione holliwoodiano, e la complessità dei personaggi è abbozzata, mai scavata. Una differenza sostanziale con le due trilogie di George Lucas. Qui, come ne il risveglio della forza, l’universo Star Wars è a servizio del plot (e del merchandising) e non la storia al servizio dell’universo Star Wars. George Lucas creò un mondo attraverso un film (che infatti ha dato vita a migliaia di spin off fumettistici, di giochi ruolo, letterari, …), Disney usa quel mondo come il contesto dove ambientare dei buoni film. Se l’operazione era parzialmente riuscita a JJ Abrams nell’episodio VII (forse per troppo timore reverenziale del regista), portata all’estremo in Rougue One (uno splendido film di guerra casualmente ambientato nell’universo Star Wars), qui il mix si fa completo rendendo gli ultimi Jedi un film pienamente inserito nella saga ma autonomo nel suo svolgersi. Anzi Rian Johnson, regista e sceneggiatore, riesce a dare un tocco personale, inserendo un umorismo caustico, battute fulminanti che sinora erano riservate al solo Ian Solo. Anche nel ridisegnare i personaggi non mostra alcun timore reverenziale e si permette di inaugurare persino la figura del Jedi sfiduciato, dando finalmente a Luke Skywalker una dimensione non più lancillottesca (non apprezzata, si racconta, dall’attore Mark Hamill, vero fan della saga).

Certo l’impronta Disney si nota, i personaggi sono rigorosamente multietnici, le depressioni, le bassezze, mai portate al limite (come ci si poteva aspettare da uno dei registi di Breaking Bad), nessun rimando a una lettura politica (salvo forse un Kilo Ren che declina un manifesto, oltre la destra e oltre la sinistra, per dominare l’universo), nessuna indagine sulla caduta e la redenzione, centrali nelle due trilogie precedenti. Qui anzi il tormento tra bene e male serve a costruire un colpo di scena fondamentale ma non è il cuore della storia. Anche il rapporto tra padri e figli non si scioglie e la cosa non crea grossi problemi.

Dunque gli ultimi Jedi, con le sue scene di battaglie, i suoi rimandi alla trilogia o a molto altro cinema, risulta un bel film che rinuncia a competere con la trilogia classica e così facendo ne esce rafforzato e godibilissimo.

Uscito su CulturaCommestibile n.243 del 16 dicembre 2017

La sporca guerra di Corea in festival a Firenze

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Con The front line anche la guerra di Corea diventa “sporca”. Infatti il film del 2011, in proiezione questa sera in anteprima italiana al Korea Film festival di Firenze, ci porta nel dramma del conflitto coreano dal punto di vista dei soldati che combatterono in trincea. Un approccio ben lontano dalla (poca) filmografia occidentale sul conflitto che troppo a ridosso della seconda guerra mondiale e troppo dentro alle dinamiche della guerra fredda non produsse né film epici né film di denuncia come sarebbe accaduto per il Vietnam. The Front Line colma questa lacuna, con un film decisamente antimilitarista in cui il messaggio sta nella frase del tenente cinico ma leale coi suoi uomini in cui il nemico non sono i comunisti ma la guerra stessa. Un punto di vista che fa ancora più effetto se proveniente da un Paese che formalmente, ma non solo, quella guerra non ha mai terminato e che vive dal 1953 con la minaccia del terzo esercito più numeroso del mondo ammassato lungo la linea smilitarizzata del 38° parallelo. Quella peraltro lungo la quale è ambientato tutto o quasi il film che narra l’assurda battaglia senza tempo per la conquista di una spoglia collina che cambia continuamente di mano.

La guerra e la sua assurdità, sono quindi al centro del film e dei suoi personaggi con un timido tentativo di umanizzare persino il nemico, fratello nella lingua e nella canzone (da cui prende il titolo il film) che i due schieramenti cantano insieme prima dell’ultima e ancor più assurda battaglia finale. Tuttavia le figure dei rossi risultano molto più stereotipate di quelle dei sudcoreani e il loro tentativi di risultare egualmente umani è probabilmente frustrato dal sentimento diffuso tra i sudcoreani e dalla continua propaganda di questi anni di armistizio. In sostanza il regista non se l’è sentita (o forse non ha semplicemente nemmeno pensato) di rendere ancora più forte il carattere di guerra civile della guerra di Corea, mantenendo sempre la distanza tra nord comunista e sud.

Continua a leggere a pagina 15 del numero 22 di Cultura Commestibile

(Il film sarà proiettato questa sera in anteprima italiana al Florence Korea Film Festival per info)

HAL era psicopatico ed ad IBM la cosa andava bene

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Per anni il regista, Kubrick, e il co-sceneggiatore e autore del romanzo da cui il film 2001 odissea nello spazio è ispirato, Arthur C. Clarke, hanno sempre affermato che fosse del tutto casuale che il nome del supercomputer dell’astronave HAL, spostando tutte le lettere che lo compongono a quella successiva, desse vita all’acronimo IBM ovvero, all’epoca, la maggiore azienda produttrice di computer.

Fan devoti e fanatici del complotto hanno sempre teorizzato che dietro a questo cambio vi fossero state pressioni da parte dell’azienda al fine di non associare il proprio nome ad un computer che, sviluppando sentimenti umani, arriva ad uccidere l’equipaggio della nave che invece dovrebbe accudire.

Leggi il seguito su Cultura Commestibile n. 16

 

Che fine ha fatto il cinepanettone?

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Il Natale è, anche un genere cinematografico. Inevitabile certo ma, per quanto riguarda il nostro Paese, piuttosto recente. In fondo Vacanze di Natale, il primo, è del 1983. Probabilmente nemmeno i fratelli Vanzina, potevano supporre che, proprio a partire da quell’occasione, sarebbe nato uno dei filoni più prolifici e contemporaneamente disprezzati, del cinema italiano: i cinepanettoni. Una miriade di Natale a Cortina, Miami, New York ed altre amene località di cui abbiamo perso il conto ma non la trama, essendo questa più o meno sempre la stessa, così come molti degli interpreti; uno su tutto l’inossidabile Cristian De Sica. Probabilmente per sadismo o cristiana espiazione, in questi giorni di festa, Sky ha dedicato al Natale un canale della sua offerta, in cui passavano, ossessivamente, queste pellicole. Ammettiamo che non siamo riusciti a guardare che pochi minuti delle varie pellicole, rimanendo però colpiti che aldilà della location e talvolta dei protagonisti, avresti potuto benissimo iniziare a seguire un Natale a Parigi, appisolarti per il troppo panettone, risvegliarti in India e proseguire la visione senza troppa difficoltà, come capita a chi per un periodo aveva una madre che seguiva Beautiful e si trova a riseguirlo causa fidanzata.

Continua a leggere l’articolo sul numero 10 di CulturaCommestibile.com

Altro che “Amici miei”. Qui “Piove sul Bagnato” (dal Nuovo Corriere di Firenze)

Oggi il Nuovo Corriere di Firenze ospita questa mia lettera sul fare cinema a Firenze.

Caro Direttore,

sollecitato dall’insolita apertura del suo giornale di ieri approfitto per esporle brevemente una piccola riflessione sul fare cinema a Firenze. Già perché aldilà della giusta indignazione rispetto al toccare un capolavoro del cinema come amici miei, questa può essere l’occasione per fare il punto di cosa significa fare cinema a Firenze e di come, nonostante nutrano gli stessi dubbi sulla qualità del progetto “artistico” di questo remake, i professionisti del settore lo accolgano comunque come una boccata d’ossigeno per far lavorare attori e cast tecnici.

Già perché in questi anni, soprattutto grazie agli sforzi in questo senso della Toscana Film Commission, si è comunque tornati a girare film in Toscana e a Firenze. Uno sforzo che serve sia per promuovere l’immagine ma anche per far da volano a un’economia che muove molti addetti, tutti qualificati e come dicono gli economisti “ad alto valore aggiunto”.

In questo senso anche il fondo per il cinema della Regione Toscana è una lodevolissima iniziativa che, legando il finanziamento a bandi, permette a chi propone il proprio talento di trovare una strada per realizzarlo.

Eppure produrre e girare un film a Firenze è e rimane un’impresa titanica. Lo dico per esperienza visto che cocciutamente e tenacemente abbiamo voluto produrre, girare e realizzare il nostro primo film “Piove sul Bagnato” qui a Firenze utilizzando cast e tecnici il più possibile fiorentini.

Ma anche nel nostro caso a parte la solita Film Commission, tanti amici tra attori e tecnici, ma solo qualche sporadico operatore la fatica che abbiamo fatto è stata assolutamente incredibile, soprattutto per quanto riguarda la distribuzione nelle sale.

Eppure il dibattito sul futuro delle sale a Firenze, soprattutto quelle del centro storico, riappare ciclicamente e solleva grandi articoli sui giornali. E poi? Poi poco o nulla per quanto riguarda progetti alternativi alla distribuzione dei grandi film col risultato che lo stesso filmone si preferisce comunque andare a vederlo in una multisala con ampio parcheggio piuttosto che in centro. Nessun cinema che propone una programmazione di vecchi film, o film in versione orginale o per l’appunto produzioni locali indipendenti.

Invece io personalmente devo spezzare una lancia a favore delle multisale proprio perché solo una di queste, il Vis Pathè, ha avuto il coraggio di tenere in programmazione un piccolo film indipendente e locale come il nostro per quasi un mese.

Ecco perché credo che servirebbe, nella discussione sui cinema a Firenze, inserire anche i tanti che cinema (e fiction) a Firenze fanno o vorrebbero fare e mettere insieme la Regione che già fa bene, i comuni ma anche gli esercenti e i distributori per consentire agli spettatori anche alternative “locali” al prossimo remake di amici miei.

Michele Morrocchi

Amministratore Diogene Produzioni Cinematografiche

Piove sul bagnato dal 4 settembre nelle sale

locandina piove sul bagnato

Dopo la bella anteprima del Vis Pathè di venerdì scorso e risolti i problemi tecnici che avevano dato qualche problema in quella occasione, da venerdì 4 settembre esce nelle sale Piove sul bagnato.

Il film esce per ora in tre copie a Firenze al cinema Colonna, a Campi Bisenzio sempre al Vis Pathè e a Grosseto al Multisala.

Andrea Muzzi, Andrea Bruno Savelli, Max Galligani, Toto Barbato e il resto del cast saranno presente il 4 settembre allo spettacolo delle 21 al cinema Colonna di Firenze per l’anteprima fiorentina.

Anteprima nazionale di Piove sul Bagnato.

locandina piove sul bagnato

Ci siamo. Giovedì 27 al Vis Pathè di Campi Bisenzio ci sarà l’anteprima nazionale di Piove sul Bagnato il film che ha prodotto la Diogene, la società di cui sono amministratore.

Alla serata sarà presente tutto il cast del film. Dai due autori, registi e attori Andrea Muzzi e Andrea Bruno Savelli, la protagonista femminile Alessia Fabiani, Max Galligani, Toto Barbato, Carlo Monni, Daniela Morozzi e Bruno Santini.

Per chi fosse interessato può contattarmi per i biglietti anche qui sul blog o su facebook.

Vi apetto numerosissimi!

Piove sul bagnato

locandina piove sul bagnato

Siccome non mi faccio mancare niente, coinvolto dal mio amico Andrea Bruno Savelli, ho prodotto un film. Cioè per meglio dire sono l’amministratore di una società, la Diogene, che ha prodotto un film.

Il film si chiama Piove sul Bagnato. Lo hanno scritto, diretto e interpretato Andrea Muzzi e Andrea Bruno Savelli. Insiema a loro nel cast Alessia Fabiani, Max Galligani, Toto Barbato, Andrea Monni, Daniela Morozzi e tanti tanti altri.

Ora, dopo averlo girato, editato, montato, musicato (con le musice originali dei Martinicca Boison) esce nelle sale fiorentine il 28 agosto.

Il film è una commedia a mio parere molto divertente e ha tutte le caratteristiche per andare bene. Lo ammetto il mio è un parere di parte ma mi consola che tutti quelli che lo hanno visto in questi mesi di lavorazione e post-produzione ne danno un giudizio molto positivo.

Dunque dal 28 agosto vi aspetto al cinema, per ora vi posto i due trailer.