Troppo facile fare i liberisti col lampredotto degli altri

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La lotta di classe nel centro storico fiorentino, di cui già descrissi le peripezie nel numero 155, ha una nuova battaglia in corso.

E’ di questi giorni infatti la notizia che il Comune, all’interno del perimetro del centro storico patrimonio dell’UNESCO, consentirà l’apertura di esercizi dedicati alla ristorazione in base ad alcuni criteri “geografici”, filiera corta e “genuinità” alle radici enogastronomiche del territorio.

Un’apposita commissione valuterà questi criteri, consentirà deroghe e decreterà le aperture.

Aldilà della tenuta giuridica della norma, di cui dubito parecchio, sulla quale prevedo non tarderà di occuparsi il TAR, quello che qui interessa è l’intento e l’efficacia della norma.

L’intento appare chiaro e coerente con la strategia di questa e delle passate amministrazioni di conformare la realtà del centro storico alla sua rappresentazione immaginifica che il suo fruitore ideale porta con sé. E chi è, nei pensieri di chi Firenze governa, il primo fruitore delle proprie politiche? Non certo il cittadino (che non immaginiamo desideroso di peposo e lampredotto) ma il turista che invece questo immagina di trovare e questo deve trovare.

La creazione della quinta scenica del consumo attraverso l’apposizione di un limite, regolamentato, al Kebab o al cous cous a meno che le verdure non siano coltivate nei verdi campi del Mugello.

Eppure la regolamentazione delle attività di ristorazione è tema serio e affrontato in varie parti del mondo. A Los Angeles, dunque non in un “regime” statalista, alcuni anni fa fu proibita, in alcune aree della città, l’apertura di locali di Junk food (cibo spazzatura). Erano i quartieri più poveri della città, dove le condizioni della vita della popolazione, e in particolare dei più giovani, non consentivano un alimentazione sana con conseguenze sulla (già precaria) qualità della vita e sulla salute.

Dunque un amministrazione ha titolo a normare in materia, anche se personalmente trovo le motivazioni di decoro e tradizione meno importanti di quelle relative alla salute dei cittadini.

Il tema successivo, però, è quale efficacia hanno queste norme? Nel caso di Los Angeles pare molto poca, a Firenze vedremo. Qualche previsione però possiamo provare a farla. Intanto il provvedimento arriva dopo che il centro storico si è ormai trasformato pesantemente. Questo è avvenuto per l’effetto di scelte urbanistiche, della perdita di valore delle merci (non solo alimentari) vendute dagli esercizi commerciali, dal processo di gentrizzazione dovuto anche a fenomeni come Airbnb e dalla crisi economica. Dunque l’azione del provvedimento non avrà l’effetto di modificare l’offerta in essere ma di determinare quella futura e di farlo verso un determinato obiettivo: quella della progressiva trasformazione del centro storico in un compound turistico fatto degli stessi ingredienti dei sogni dei tour operator.

Apparso su CulturaCommestibile n.161 del 12 marzo 2016

L’occidente decadente e reazionario

Dal Nuovo Corriere di Firenze del 1 settembre 2011.

Se ho ben interpretato le parole del governatore della BCE Trichet, sentito negli scorsi giorni dal Parlamento Europeo, in Europa non mancano i soldi, che anzi ci sarebbero eccome, ma l’economia è bloccata per la paura ed il timore, sia rispetto ai debiti pubblici che all’andamento dell’economia europea ed americana. Insomma una versione tecnica e colta dell’affermazione berlusconiana della crisi soltanto psicologica. Personalmente credo che la paura c’entri fino ad un certo punto; credo però che su una cosa Trichet abbia pienamente ragione, cioè sul fatto che i soldi ci siano eccome.

Anche le settimane di speculazioni estreme su Italia, Francia e (in parte) Germania hanno sì bruciato miliardi che però non sono scomparsi nel nulla ma, nella stragrande maggioranza dei casi, sono passati dai piccoli ai grandi investitori. La crisi ha quindi accentuato la forbice fra ricchi e poveri, travolgendo spesso il ceto medio (quello vero e non quello di cui parlano Casini e la CEI per eliminare il contributo di solidarietà per i redditi personali superiori a 90.000 Euro) e bloccato la redistribuzione di redditi e ricchezze. In questo senso l’accumulazione di ricchezza in poche mani spesso ha come corollario la riduzione delle forme (e della sostanza) della democrazia e delle forme di partecipazione sociale e politica che senza arrivare alle oligarchie dell’est europeo rappresentano un modello molto distante dalla democrazia rappresentativa pur mantenendone le istituzioni.

Negli anni ’90 andava per la maggiore un economista, Amartya Sen, che ha a lungo spiegato come il modello di sviluppo indiano fosse migliore di quello cinese, grazie alla democrazia e all’istruzione. Osannato dalla sinistra in cerca della terza via è stato riposto in tutta fretta, trafitto dalla crescita cinese e dal turbocapitalismo che ci spiegava come la Cina avrebbe rappresentato un mercato per noi occidentali in grado di “bastare” alla nostra crescita. Forse andrebbe ripreso in mano oggi Sen, cercando di legare sviluppo alla redistribuzione dei redditi, impedendo l’accumularsi di fortune nelle mani di pochi, ben coscienti che una società di consumi non avrà mai abbastanza ricchi per crescere coi soli beni di lusso.

Nei giorni in cui la nostra attenzione è (giustamente) tutta concentrata sul solo debito pubblico, non bisogna dimenticare di ascoltare quei pochi, siano liberali convinti che la crescita si avrà con meno Stato e tasse, siano socialdemocratici convinti che siano necessarie politiche e servizi per la redistribuzione della ricchezza, che dicono che il rigore dei conti e il pareggio di bilancio rischiano di essere solo un modo sereno di giungere alla decadenza del nostro occidente.