Come la neve fa cantare Renzi fuori dal coro della comunicazione

Dal Nuovo Corriere di Firenze del 2 febbraio 2012.

Alla fine la neve è arrivata. Poca o tanta dipende da quale prospettiva la si guardi: seguendo la nevicata sui social media pareva che fosse in corso una “tormenta” (come twittava un autorevole amministratore cittadino), con stoici inviati di testate importanti costretti ad una notte in bianco per seguire i lavori di pulitura strade. A guardarla dalla finestra di casa ci pareva una nevicata come ne capita ogni tanto d’inverno. Detto questo va premesso che la macchina del Comune e della protezione civile ha consentito di minimizzare i disagi e liberato le strade garantendo la viabilità verso scuole e luoghi di lavoro, in città ma anche nell’hinterland. Quello che però interessa qui è la gestione della comunicazione dell’evento, con la creazione e l’amplificazione di un effetto “ansia” già presente dopo la nevicata di due anni fa e il disastro organizzativo di quell’evento. Certo a muovere gli amministratori pubblici c’era quel principio di precauzione che declinato alla fiorentina recita più o meno “meglio aver paura che buscarne”, più che comprensibile certo ma che riflette, almeno nel caso del primo cittadino fiorentino, anche un modello comunicativo fatto di enfasi, sovrapposizione tra comunicazione personale e comunicazione istituzionale e sovraesposizione di messaggi e informazioni, effimere o per la natura del media da cui si lanciano o per la durata del messaggio prima che ne arrivi un altro. Non sta a noi dire se questo tipo di comunicazione sia o meno efficace (dipende molto dallo scopo naturalmente)  ma ci pare utile sottolinearne la differenza rispetto a un modello comunicativo nazionale che, negli ultimi mesi, è profondamente cambiato. Insomma non sono più i mesi (e gli anni) di Berlusconi con la sua roboante presenza e ingombranza, tempi in cui Renzi pareva l’unico del centrosinistra a cantare intonato al mainstream comunicativo plasmato dal Cavaliere. Nell’era della sobrietà di Monti, l’effetto è quello di una voce dissonante (non per questo sia chiaro meno affascinante). Monti non sovrappone la propria comunicazione personale (anzi  non ne ha proprio) con quella del governo. Non ha account twitter o facebook, parla attraverso i canali istituzionali o in conferenze stampa fiume che hanno l’aspetto (e il rigore) di lezioni universitarie, humor compreso ma che manifestano un rapporto adulto col cittadino, messo nella condizione non solo di essere informato ma di poter capire quanto comunicato. Certo non è esente da scivoloni, come la pagina alla nordcoreana con gli estratti delle lettere al premier con la bambina che lo chiama nonno Mario.  Tuttavia siamo di fronte ad uno stile diverso che sembra essere molto meno presente sui media (poi in realtà questo governo parla un sacco), improntato a un meneghino spirito del fare, del far sapere senza però farci romanzi sopra. Dunque nel riposizionamento in corso da parte di Matteo Renzi paiono cambiate molte cose (la tempistica, l’attenzione dal nazionale al locale, una propensione a parlare di ciò che fa qui piuttosto di quello che farà per il Paese) ma non l’irruenza comunicativa, una scommessa precisa nei confronti della sobrietà dei professori.