La parola lavoro

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Come siamo passati dal lavoro che nobilitava l’uomo a questi nostri tempi in cui la parola lavoro ha ormai assunto un valore se non negativo almeno pauroso? Questa è una delle domande che si fa Stefano Massini, drammaturgo e consulente artistico del Piccolo di Milano, dovendo descrivere la parola lavoro per un piccolo ma interessante volume edito da il Mulino. Massini non si sveste dei panni dell’uomo di teatro per affrontare il lavoro ma, anzi, sfrutta proprio questo punto di vista “laterale” per osservare il lavoro senza il tecnicismo dei professionisti. Un punto di vista che molto apprezza chi, come chi scrive, di lavoro si occupa di professione. Perché lo sguardo di Massini non indulge alla polemica politica, non si abbassa alla norma, al contratto; no Massini indaga il lavoro a partire dalla parola che lo definisce. Dal suo senso, dall’effetto che fa. Dal lavoro che era riscatto, realizzazione almeno sino alla generazione di mio padre al lavoro che è angoscia (di trovarlo, di non perderlo) o tutto ciò che si frappone al “tempo libero”, unico vero momento di realizzazione di se stesso. Massini riflette sulla rappresentazione di noi, sulle nostre foto postate sui social e da questo collega come un filo invisibile prima ma evidentissimo poi il fatto che sempre più il lavoro dimentichi l’italiano (anche quando esso ha i termini adatti) per spostarsi sull’inglese. Effetto della globalizzazione certo, ma anche forse di una certa vergogna. Oltre naturalmente all’effetto cortina fumogena. Volete mettere quanto sia più comunicativo annunciare un jobsact piuttosto che un piano lavoro? Ma qui è il “tecnico” del lavoro a prendere il sopravvento, Massini, state sereni, non indulge in tutto ciò e anzi volge il proprio sguardo al futuro, al lavoro che va oltre la macchina e vede affacciarsi vere e proprie intelligenze artificiali. Un futuro tutt’altro che remoto, in cui ad essere minacciati non saranno soltanto operai ma anche gli “intellettuali”. Per tornare all’oggi la meccanizzazione e l’informatizzazione del settore dei servizi, quello per capirsi che ha fatto da bacino per l’eccedenza di manodopera non specializzata espulsa dal mondo della produzione, sono dietro l’angolo e porranno a breve un problema per le nostre economie occidentali. Quelle che hanno delocalizzato la produzione, si sono raccontate che tutti avremmo potuto fare i “creativi”, gli ingegneri o i programmatori, ma che poi sfamano la larga parte di sé stesse, numericamente parlando, nei cosiddetti settori ad alta intensità di manodopera. Il lavoro quindi come rappresentazione degli incubi dei nostri giovani, così come era stato dei sogni dei nostri padri. E’ sempre Massini a venirci in soccorso rispetto a questo cambiamento, estraendo dalla valigia dei ricordi la schedina del totocalcio e cosa sognavano gli italiani compilando ogni settimana quella schedina e comparandola ai concorsi di oggi che già dal nome (uno per tutti “turisti per caso”) ci dicono che l’unico sogno rimasto è quello di fuggire dal lavoro.

Recensione apparsa sul n.178 di CulturaCommestibile.com del 10 luglio 2016