Se Matteo lanciasse Emma

dal Nuovo Corriere di Firenze del 29 settembre 2011

Scriveva l’Ariosto: “forse era ver, ma non però credibile / a chi del senso suo fosse signore”. E così pare accadere in queste settimane a Matteo Renzi quando, intervistato per ogni dove, dichiara che prima di candidarsi alle primarie del centrosinistra preferirebbe trovare qualcuno di più adatto, preferibilmente una donna. Se dunque volessimo dar ragione al poeta e inseguire il vero celato dall’inverosimile, dovremmo iniziare a pensare che il Sindaco di Firenze abbia già in mente una donna pronta a guidare il Paese nei prossimi anni, non legata all’establishment democratico (e politico in generale), dinamica e capace di un agenda di riforme in sintonia con la rottamazione renziana.

Seguendo tali tracce non potremmo che imbatterci in Emma Marcegaglia. Non politica, dinamica, in allontanamento palesemente sonoro dal centrodestra e da Berlusconi; capace di calamitare su di sé le aree liberal dei democratici e i montezemoliani ben felici di superare così il ben poco appeal che il loro candidato perenne  suscita fuori e dentro il palazzo e probabilmente rispondente agli standard di moralità indicati dai Vescovi.

Appare dunque più chiaro forse, il senso dell’iniziativa dei giorni scorsi che proprio a Firenze ha visto l’intervento più politico della presidente di Confindustria, giocato di sponda con quel Mussari, presidente ABI e MPS da sempre perno della finanza rossa DS prima e democrat oggi e che ha avuto come padroni di casa i fratelli Bassilichi da sempre legati a Renzi e tramite di questo col mondo senese.

Infine come dimenticare il legame tra il presidente dei giovani industriali, il fiorentino Morelli, e il giovane Sindaco; legame che si data dai tempi della presidenza della provincia da parte di Renzi. Ed è proprio il presidente dei giovani industriali uno dei suggeritori più ascoltati della Marcegaglia come dimostra l’insistenza sul sistema pensionistico a favore dei giovani che la presidente di Confindustria cita quasi ad ogni intervento.

Una comunanza di programmi che si sposa benissimo con quelle che il tink tank montezemoliano elabora da diversi mesi, grazie a esponenti provenienti in larga parte dalle aree più dinamiche del partito democratico veltroniano e che fa spesso rima con le proposte immaginifiche di Renzi.

Certo rimane un punto non di poco conto. Marcegaglia sarebbe perfetta per guidare un partito o forse anche un’alleanza di centro, ma sarà pronta la sinistra italiana a farsi guidare dalla presidente di Confindustria?

Dietro a quella facciata c’è molto di più.

Dal Nuovo Corriere di Firenze del 4 agosto 2011.

La vicenda del rifacimento della facciata della basilica di S. Lorenzo sollevata dal sindaco Renzi ha un altro aspetto, oltre a quelli artistici culturali, da non sottovalutare. Sui primi le sorelle Marx di sabato scorso sulla prima pagina dell’inserto di questo giornale, Cultura Commestibile, han già perfettamente detto, sul secondo forse è il caso di spendere ancora qualche parola.

Il tema è quello del referendum per decidere se procedere o meno al rifacimento della facciata o più in generale se Firenze sia patrimonio disponibile dei soli fiorentini o sia dato a questi in custodia per tutti gli altri. Lungi da me invischiarmi in un dibattitto procedurale sulla liceità dello strumento, sulla titolarità di sindaco e comune e tutte le beghe da costituzionalisti che son solite accompagnare questi dibattiti in Italia. Quello che a me interessa è il metodo politico che tale impostazione presenta.

Ancora una volta Renzi dimostra di non aver bisogno dei corpi intermedi, dei soggetti di rappresentanza degli interessi: la sua legittimazione popolare gli è sufficiente per rapportarsi al popolo per il popolo. Tuttalpiù questi soggetti possono tornare utili, se alleati, nella mobilitazione e nelle eventuali campagne; se inutili possono essere sostituiti da strutture più snelle e più riconducibili all’obiettivo. In fondo così ha legittimato (e vinto) la propria azione politica prima nelle primarie, poi con le liste civiche a suo sostegno e successivamente nella sua azione amministrativa.  Un’azione di rottura e di scardinamento dei vecchi schemi che la città, ingessata da troppi anni, ha dimostrato di apprezzare e che ha contribuito certamente a smuoverla e a rinnovarla.

Tuttavia in questo caso si parla di un’operazione che non consente retromarcia e soprattutto che tocca un aspetto che, ripeto, riguarda solo in parte i Fiorentini. La logica del bene è mio e lo gestisco io, in particolare nei beni artistici, ha limiti che qualche secolo di politica liberale ha conferito (almeno nell’Europa occidentale) a poteri non elettivi, tecnici, per sottrarli, all’inevitabile bisogno di ottenere consenso da parte dei poteri politici. Certo questo ha in molti casi ingessato alcune cose ma ha anche consentito di preservare centri storici e monumenti inestimabili. Dire oggi che le sovrintendenze sono orpelli inutili che non devono occuparsi di questo (tanto varrebbe allora dire che non debbano proprio esistere) non è, almeno in questo caso, una battaglia di rinnovamento del Paese ma mostra piuttosto una volontà di non aver freni e contrappunti al proprio operare.

 

Grand. Uff., Lupett. Mann.

Dal Nuovo Corriere di Firenze del 21 luglio 2011

Maria Antonietta pare ebbe a rispondere a chi la informava che il popolo non aveva il pane: “che mangino  le brioches”; qui da noi al popolo che viene chiamato in ogni modo a sacrifici e costi, tra manovre, tassi dei mutui e investimenti che valgono ogni giorno meno, non si offre nemmeno un cornetto. Di tagli alla politica ognuno parla e poi, quasi tutti, rimandano o pontificano di quello che dovrebbe fare il vicino ma poi in casa propria nulla o poco si muove.

 Anche a Firenze il dinamico Renzi propone, come dice lui da anni, il dimezzamento dei parlamentari e consiglieri regionali ma nulla dice sul dimezzamento degli incarichi dei suoi consiglieri comunali. Vicenda sulla quale il giovane segretario del PD Mecacci vuol veder chiaro. Nobile intento e prassi assai apprezzabile ma che speriamo porti velocemente anche a qualche esito. Peraltro Mecacci avrebbe sulla questione tutto da guadagnare in termini di visibilità e autonomia politica e sicuramente metterebbe in sintonia il PD col suo elettorato e buona parte della sua base.

Ma viviamo tempi complicati dove non solo Cesare ma persino l’autista di Cesare, deve essere specchiato e dunque l’auto con cui viaggia il segretario regionale del PD, auto piuttosto performante non c’è dubbio ma pagata dal partito e non dalle istituzioni, diventa tema di confronto politico decisamente inelegante all’interno degli stessi democratici. Certo ha vita facile la polemica in un partito che tiene in garage l’Audi e licenzia al primo piano i dipendenti.

Nel frattempo il solito Renzi da’ di Fantozzi ai propri dipendenti perché fanno la fila al badge confrontandoli con quelli di Google che il badge non l’hanno proprio e hanno persino la parete per l’arrampicata. Magari potrebbe provare a montare simile attrezzo anche nel cortile della dogana per vedere se aumenta la produttività degli stessi e rimuovere anche lui il badge. Naturalmente i dipendenti non l’hanno presa bene ma in molti hanno risposto con l’ironia modificando la propria foto del profilo Facebook con quella dei ragionieri Fantozzi e Filini e, per le donne, con l’immortale signorina Silvani. Inutile dire che ruolo sia toccato a Renzi: “Duca Conte, Lupett. Man., …”

Nel Pd facebook contro ficattole

Dal Nuovo Corriere di Firenze del 7 luglio 2011.

Sono passati quasi tre anni dalle primarie fiorentine ma il PD locale non pare aver ancora metabolizzato quel passaggio. Quella che semplicisticamente sui giornali viene spesso descritta come una lotta tra renziani e antirenziani nasconde in realtà una diversa visione della politica e del rapporto di questa con la società.

Da una parte, volendo semplificare parecchio, c’è una parte del PD fiorentino, quella più legata alla tradizione dei vecchi DS, che considera quelle primarie e Matteo Renzi un accadimento temporaneo, un anomalia che prima o poi terminerà e tutto tornerà, se non proprio uguale, molto simile a prima. Dall’altra parte, quella meno legata ai vecchi partiti, assistiamo a una specie di fervore iconoclasta tutto volto all’innovazione, al nuovo e al superamento (spesso acritico) di quelle che una volta avremmo chiamato strutture e sovrastrutture.

Ficattole contro Facebook se vogliamo trovare un immagine anche delle polemiche di questi giorni tra partito “tradizionale” e Officine democratiche. Eppure se una cosa poteva insegnare l’esperienza di Matteo Renzi era che i due aspetti potevano e dovevano trovare una sintesi. Per il momento la sintesi il solo ad averla trovata è stato proprio l’attuale sindaco che però (ed è difficile dargli torto) ha esercitato questa capacità sempre in ambito amministrativo e mai in quello partitico, neppure quando ne guidava uno.

Dunque ai democratici fiorentini sarebbe necessario, almeno a parere di chi scrive, pensare di trovare una sintesi non tanto in un uomo solo ma in un modo di intendere il partito, anche perché il modello di riferimento, sociale e politico, antecedente alle primarie non potrà mai tornare, mentre il solo efficientismo che si volge alla società civile, rischia di non essere sufficiente a una forza politica che intende governare per davvero e non solo fare accademia.

E’ proprio in tempi in cui la politica subisce il maggior discredito presso la pubblica opinione che i partiti avrebbero necessità di ripensare sé stessi per svolgere, di nuovo, un ruolo di portatori e mediatori di interessi collettivi in sintonia però con la società che si ambisce governare.

Alemanno e Renzi; due sindaci due stili

Dal Nuovo Corriere di Firenze del 7 aprile 2011

Due sindaci due stili. Il primo è il Sindaco di Firenze, Matteo Renzi. Come sindaco ha sempre costituito la città parte civile nei processi che si sono aperti e che riguardavano l’urbanistica. E lo ha fatto nonostante in quei processi fossero implicati ex amministratori, dirigenti e funzionari dello stesso comune.  Una scelta di tutela della città, saggia, di fronte a ipotesi accusatorie che, se provate, dimostrerebbero un danno reale e pesante per la città. Naturalmente, giova sempre ricordarlo, i processi sono in corso ed è tutta da dimostrare la tesi accusatoria della procura come prevede saggiamente il codice.

L’altro sindaco è quell’Alemanno, riconquistatore per la destra del Comune di Roma, dopo i mandati di Rutelli e Veltroni. Ieri all’apertura del processo sugli appalti per i mondiali di nuoto il Comune di Roma non si è costituito parte civile. E ciononostante le ipotesi accusatorie della Procura romana parlino di diversi milioni di euro sottratti alle casse dello stesso comune. Anche in questo caso totale presunzione d’innocenza nei confronti dei 33 imputati, tuttavia ci si sarebbe potuti aspettare un principio di precauzione da parte del Comune e dei soldi dei suoi cittadini.

E non è la prima volta che il sindaco Alemanno non “schiera” la propria amministrazione al fianco della magistratura. Era accaduto per esempio nel processo contro Don Ruggero Conti condannato recentemente in primo grado a 15 anni e 4 mesi per abusi su sette minori. Parroco che si era molto speso nella campagna elettorale dello stesso sindaco.

Ecco, tra le piccole e grandi differenze di intendere e praticare il mestiere di Sindaco, c’è anche questa e non ci pare che sia una cosa da poco.

P.s. Oggi sono anche su Labouratorio 2.0 con una lettera aperta al segretario generale delle Nazioni Unite a cui chiedo di invadere l’Italia.

Subalterni e contenti

Dal Nuovo Corriere di Firenze del 3 marzo 2011.

La rivoluzione si sa, non è un pranzo di gala. Nemmeno quella, col sorriso, di Matteo Renzi a Firenze sfugge a questa regola, e se uno dei tratti più innovativi del nuovo corso è la messa in discussione delle vecchie liturgie dei partiti e delle istituzioni e un riacquistato rapporto diretto tra governati e governante, questo a giudizio di molti osservatori è avvenuto a spese dei partiti e delle istituzioni quali giunta e consiglio. Così assistiamo, aldilà della promessa elettorale, a una giunta di facce nuove sì ma incompleta da quasi un anno di un membro (peraltro di genere femminile) per l’avvenuta promozione dell’assessora Scaletti (IdV) al soglio regionale. Un anno è un tempo che, nella vecchia politica, sarebbe stato impensabile, oggi appare naturale, e nemmeno il partito “sacrificato” sbraita più di tanto e si accontenta di annunci di rimpasto fatti dal sindaco che assomigliano alla Tempesta di Shakespeare, di cui in tutto il dramma si parla ma in scena mai si vede.

Non appare difficile dunque che David Allegranti possa, nel suo bel libro su Renzi, descrivere un quadro della giunta (e più in generale del renzismo) fatto di Matteo Renzi e di consiglieri fedeli posizionati principalmente al di fuori dalle istituzioni e dai gruppi dirigenti dei partiti, e dunque se non sorprende che qualcuno possa essersi risentito di questa analisi, questi ultimi abbiano però confuso il cronista con l’agente.

Altra rottura della liturgia istituzionale appare anche la recente vicenda della presidenza del consiglio comunale che, dopo la nomina di Eugenio Giani a consigliere regionale, presenta un caso di triplo incarico per lo stesso: presidente del consiglio comunale, consigliere comunale e consigliere regionale.

Seppur disponibile a lasciare il primo dei tre incarichi, Giani, ha rimesso tale decisione alla volontà del Sindaco il quale  pare abbia rinviato il tutto al solito rimpasto.  Un mix di stili politici vecchi e nuovi che, a modesto parere di chi scrive, indebolisce ancor di più il consiglio comunale e rafforza l’immagine di subalternità di questo non più rispetto ai partiti ma al sindaco stesso. Si badi bene è un modello, che deriva dalla legge elettorale, che Renzi sfrutta benissimo ma che certo non è sua invenzione.

Questo però avviene anche perché, evidentemente, al consiglio (e in particolare ai consiglieri di maggioranza) tutto ciò alla fin fine sta bene, perché nel caso dei comuni essi avrebbero non solo la sovranità formale ma anche quella sostanziale essendo eletti con le preferenze e non nominati come, per esempio, i loro colleghi regionali.  Un tema che sarà bene che si tenga a mente quando si riproporrà la cosiddetta frustrazione dei consiglieri rispetto all’esecutivo.

Un rapporto che non regge

Dal Nuovo Corriere di Firenze del 24 febbraio 2011.

Colpiscono, nell’ennesima puntata della collocazione della pista di Peretola, i modi e i toni usati per “sollevare” il problema. Sul merito non ci addentriamo, conoscendo poco o punto, l’iter e gli atti del Pit della Regione Toscana. Ci par di capire che la Regione avesse poco da dire se le compatibilità urbanistiche della pista parallela fossero tali. In fondo il piano regionale non è lo strumento che decide la collocazione ma, appunto, ne misura le compatibilità e le coerenze. Quello che stupisce, allora, è la modalità con la quale amministratori seri e non inclini a colpi di teatro hanno deciso di scatenare una polemica mediatica e politica di cui certo conoscevano le ricadute e il clamore.

Se, dunque, sono arrivati fino a quel punto, pare significare che un modello di rapporti istituzionali, politici e partitici (visto che tutti o quasi gli attori coinvolti militano nel PD) non solo non regge più ma produce danni.

Dall’esterno sembra che ci troviamo nell’ennesimo portato di una politica tutta votata all’annuncio, alla spettacolarizzazione dell’atto, alla consegna alla stampa prima che agli attori delle decisioni. Un ennesima degenerazione di un modello che è indubbiamente positivo, quello cioè di uscire dal ristretto ambito degli addetti ai lavori e di fornire ai cittadini tutti i risultati del confronto e delle decisioni politiche. Ma è un metodo che funziona solo in due scenari, uno antitetico all’altro. O c’è un uomo solo al comando, capace per carisma, competenze, mediaticità, di essere l’unico soggetto sulla scena, di rispondere anche sprezzantemente alla critica, volendo di infischiarsene; oppure c’è un modello che costruisce pazientemente rapporti, che moltiplica le occasioni di confronto. Che non esclude la conferenza stampa ma la precede da un incontro coi soggetti in campo. Li fa sentire importanti e partecipi. Che coinvolge i cosiddetti soggetti della rappresentanza (in primis i partiti) non solo come mantra retorico alle assemblee ma li dota di strumenti, capacità e uomini in grado di svolgere il ruolo di mediazione o al limite d’informazione. Non si tratta di complicare i percorsi decisionali, di togliere potere alle istituzioni (sarebbe come scavare il petrolio col cucchiaio) ma, per esempio, di calibrare un nuovo ruolo ai partiti, di soggetti portatori almeno di informazioni, capaci di organizzare (perché ne hanno mandato e informazioni) le riunioni prima e non dopo.

Infine la reazione dei sindaci è una reazione forte perché sanno che gli strumenti con cui condividere le scelte urbanistiche sono pochi e in questo scontano anche responsabilità proprie. In altre stagioni, dove le divergenze e le difformità erano assenti o minori, troppo poco si è fatto per arrivare a un governo urbanistico comune della piana. Cedere la sovranità su un ambito come quello urbanistico non è affar semplice, bisogna dirlo, ma pensare di aver sviluppato ognuno per conto proprio, e talvolta apparentemente l’uno contro l’altro, in tutti questi anni quel territorio senza che questo metodo un giorno potesse chiedere il conto è un limite di miopia che oggi probabilmente pesa.

Dall’ordinario all’emergenza

Dal Nuovo Corriere di Firenze del 23 dicembre 2010

Nella ricerca delle responsabilità per il caos neve dello scorso fine settimana è tutto un fiorire di ipotesi e “colpevoli”.

Si definisce fenomeno la neve a dicembre, si contestano i centimetri previsti rispetto a quelli veramente caduti, è colpa degli autobus, no è colpa degli spargisale, non c’era il sale, il sale c’era ma non serve e tutti si improvvisano ingegneri, meteorologi o dirigenti della protezione civile, con la stessa disinvoltura con cui si trasformano in allenatori della nazionale di calcio.

Uno dei punti più sottolineati, e non a torto, da amministratori e commentatori è stato la congestione del traffico privato che ha paralizzato i mezzi pubblici e quelli di soccorso.

Un problema che, però, è ben presente anche senza la neve. Soltanto il mercoledì precedente alla nevicata la città era infatti stata paralizzata da un incidente sui viali e, complice il freddo e il Natale, il traffico era e rimane sostenuto in città.

Dunque come si può immaginare che una città che è abituata a muoversi con il mezzo privato lo lasci a casa proprio nel giorno in cui fa più freddo e l’uso di motorini e biciclette è precluso o ancor più faticoso?

Certo si può fare appello al senso civico dei propri cittadini invece che rassicurarli con frasi a  effetto sull’efficacia del proprio piano neve, ma è dura pretendere senso civico un giorno l’anno dopo aver fatto passare il messaggio opposto in continuazione.

Non deve sfuggire nella riflessione sull’emergenza il messaggio che questa amministrazione ha dato ai propri cittadini fin dalla campagna elettorale. Pur con intenzioni certamente diverse, la somma di alcuni provvedimenti ha dato il senso quasi di un invito all’uso dell’auto.

Prima l’abolizione dei vigilini che multavano le infrazioni delle ZCS, poi il ridisegno stesso delle ZCS che hanno assunto le dimensioni di interi quartieri non funzionando più da dissuasori alla mobilità interna agli stessi. Infine il ridisegno delle linee ATAF a seguito della pedonalizzazione del Duomo che ha, di fatto, reso meno comodo e pratico il servizio autobus.

Anche la discussione sulla tramvia fuori dal centro non ha, a mio avviso, contribuito a far crescere nei cittadini la voglia di mezzo pubblico.

Per contro le corsie preferenziali restano le stesse, non aumentano e non sono protette, in continuità con quanto fatto (male) in precedenza e il governo nazionale ha, sciaguratamente, tagliato pesantemente i fondi al trasporto pubblico.

Se dunque si mettono in fila tutti questi provvedimenti che presi singolarmente possono risultare persino piacevoli per il cittadino e si mischiano alla pigrizia, allo scarso senso civico e a una certa ritrosia alle norme del codice della strada, si ottiene una miscela esplosiva a cui la neve ha fatto solo da bianco detonatore.

Certezza d’innocenza

Dal Nuovo Corriere di Firenze del 9 dicembre 2010

E’ stata depositata pochi giorni fa la sentenza con la quale il tribunale di Firenze ha assolto gli allora sindaci di Firenze, Sesto, Campi, Signa, Calenzano  e Scandicci, i loro assessori all’ambiente e l’ex presidente della Regione Claudio Martini e il suo assessore all’ambiente Marino Artusa.

Il processo è quello passato alle cronache come quello al PM10 in cui gli amministratori erano imputati di non aver messo in campo le azioni necessarie a combattere contro l’inquinamento dell’area fiorentina.  Siccome però era un processo penale agli imputati non veniva contestato di non aver adempiuto alla normativa nazionale ed europea in materia ma di aver cagionato, col loro governare, danni alla salute dei cittadini. Un accusa grave dunque.

Ora leggere le sentenze non è mai semplice ma è sempre molto istruttivo. Di solito ci si trova di fronte ai dubbi che ai giudici si sono presentati durante l’inchiesta e, soprattutto, durante il dibattimento. Affiorano perplessità e la responsabilità di decidere della vita di altri uomini. Di solito. Questa volta invece siamo di fronte, almeno a parere di chi scrive, ad una sentenza senza alcun dubbio. Gli imputati sono innocenti e senza tanti fronzoli e tutte le argomentazioni dell’accusa sono analizzate e demolite punto per punto.

Ci si potrebbe fermare alle prime pagine della stessa per capirlo. Quando il giudice estensore descrive le varie perizie resesi necessarie per stabilire se la tesi dell’accusa avesse spessore scientifico ovvero se fosse quella della difesa ad averlo, giungendo alla “presa d’atto della insanabile divergenza delle tesi e conclusioni sull’argomento, in un ambito peraltro di pari dignità scientifica” che di conseguenza, da sola, avrebbe reso gli imputati assolti.

Insomma, aggiungo io, se invece di un processo si fosse fatto un dibattito scientifico ci saremmo potuti accorgere che nessuno ha la bacchetta magica contro l’inquinamento e che questo ha poco a che fare con l’azione penale.

Ma in sintesi la tesi del giudice è che se si guarda a come sono migliorate le condizioni igienico sanitarie dei territori europei in così breve tempo dalla peste manzoniana, anche grazie alla motorizzazione di massa, “le disquisizioni sulla presenza oggi nell’aria del PM10 […] e della sua relativa nocività perdono ogni connotazione drammatica, ed evidenziano come solo popolazioni evolute […] possono porsi in maniera così coinvolgente problemi come quello di cui si occupa il presente processo

Insomma mi rassicura che non sono stato il solo a pensare a questo processo come un azione a dir poco discutibile, che è durata diversi anni, che è costata tempo e denaro a tutti noi, che ha distolto uomini e risorse ad una giustizia penale che, probabilmente, aveva altre priorità.

Il tutto senza che nessuno possa, vista la mancanza una vera legge sulla responsabilità civile dei magistrati, chiedere conto di questo processo, senza poi che la carriera dei magistrati abbia la benché minima traccia del tempo perso.

Nel frattempo una classe politica è stata descritta, per diversi anni, come pericolosa per i cittadini, è stata inquisita, processata e infine giudicata. Innocente.

Quanti grandi dimenticati

Da Nuovo Corriere di Firenze del 3 dicembre 2010

Come non essere d’accordo nell’intitolare a Mario Monicelli una strada di Firenze? Una città che pochi anni fa l’ha voluto tra i suoi cittadini onorari.

Inutile dire che non ci sono obiezioni a intitolare una strada a chi ha saputo descrivere magnificamente gli italiani e i fiorentini con la sua opera. Magari una strada o uno slargo vicino ai luoghi da lui inseriti in Amici Miei: La Nazione, Piazza Santa Croce con la cattedrale mai inquadrata e un (falso) distributore messo quasi a spregio, o piazza dell’Isolotto con il seminterrato del Mascetti. Oppure piazza del Carmine, anche essa cinematograficamente mutilata della chiesa, in Cari Fottutissimi amici.

Ma se Monicelli merita, ben altri e illustri personaggi attendono un posto nella topografia fiorentina. A partire da Enrico Berlinguer, amatissimo segretario del PCI del compromesso storico e dell’austerità che non trova ancora un tratto di città degno della sua persona. Lui che quando arrivava a Firenze riusciva a riempire all’inverosimile Piazza della Signoria e scaldare i cuori di tanti compagni. Probabilmente buona parte di quelli che governano e hanno governato questa città negli ultimi anni e che hanno saputo trovare posto (meritoriamente s’intende) a Giovanni Spadolini, all’interno del plesso universitario di Novoli o a Fabrizio De Andrè dinnanzi al Sashall.

Nessuna strada (e se non ci sbagliamo nemmeno nessuna proposta) per lo storico Giorgio Spini, primo ufficiale alleato ad entrare nella Firenze liberata e “co-salvatore” di molti dei tesori degli Uffizi dalle brame dei tedeschi in fuga. A lui ha deciso di intitolare una strada il consiglio comunale di Fiesole, all’unanimità. Speriamo che anche Firenze la segua.

Infine come dimenticare la polemica sulla strada da intitolare a Oriana Fallaci? Una vicenda che ha perso ogni valore circa la qualità della giornalista ed è finita nell’ennesima e banale battaglia fra destra e sinistra. A lei che banale di certo non era non avrebbe fatto piacere, così come non avrebbe apprezzato l’averla messa in contrapposizione con un altro grande del giornalismo Tiziano Terzani che invece la sua via a Novoli ce l’ha. Forse, e lo dico facendo anche autocritica, sarebbe ora che si rendesse omaggio alla Fallaci, a tutta la vita di questa grande donna, superando idioti steccati. Magari in una strada accanto a Via Monicelli.